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L'intervento dell'ex procuratore generale di Palermo al Senato

La cavalleria garantista, che vanta tra le sue fila un partito fondato per volontà della mafia (Forza Italia), ha approvato al Senato, con 89 voti favorevoli, 18 contrari e 34 astenuti, il disegno di legge in “materia di sequestro di dispositivi e sistemi informatici” a prima firma del senatore forzista Pierantonio Zanettin, e Giulia Bongiorno (Lega), riscritto dal governo a febbraio con un emendamento del relatore, Sergio Rastrelli di Fratelli d’Italia. Il testo passa così alla Camera per l'approvazione finale: se dovesse diventare legge le indagini dell'autorità giudiziaria diventeranno ancora più lente e la garanzia della ragionevole durata del processo (art. 111 comma 2 della Costituzione) verrebbe inevitabilmente danneggiata, inoltre alcuni dati di interesse investigativo saranno resi inutilizzabili, annichilendo in maniera sostanziale l'obbligo del pubblico ministero di esercitare l'azione penale.
Una vera e propria 'camicia di forza' marchiata dal garantismo più esasperato.
Ma in che modo questo avverrà?
Partiamo dall'inizio: gli apparecchi elettronici di varia tipologia contengono varie informazioni, molte delle quali di carattere personale; alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale, le chat e le altre forme di comunicazioni sono state equiparate alla corrispondenza, la cui libertà e segretezza è presidiata all'articolo 15 della Costituzione. Dunque il sequestro, per legge, deve essere autorizzato dal giudice e non può essere disposto totalmente dal pubblico ministero.
Cosa fare, dunque, di tutto il materiale sequestrato una volta che il gip ha dato autorizzazione al pm?
Le strade erano due: eseguire una copia di tutto il materiale (chat, email, foto, etc...), conservarla nell'archivio digitale delle intercettazioni, selezionare gli elementi utili alle indagini e distruggere poi tutta la parte della copia che non era attinente alle indagini. Una strada semplice e lineare; già proposta dall'ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato.
L'altra strada, quella approvata dalla maggioranza, è ben diversa: serviranno due successive autorizzazioni del gip, una per il sequestro e un’altra per l’estrazione, entrambe impugnabili al Riesame e poi in Cassazione. Nel mezzo ci sarà una sorta di udienza per la duplicazione dei contenuti, con la partecipazione di una pletora di avvocati e consulenti di parte. Il pm dovrà mandare notifiche ad almeno otto persone, e se una di queste non dovesse andare a buon fine si dovrà ripetere l'intera procedura.
In sintesi, un'operazione che richiedeva un giorno potrà allungarsi di una settimana. Il tempo necessario all'indagato per distruggere le chat (come con Whatsapp Web) e impugnare i relativi provvedimenti di sequestro.
Una decisione che, a corti discorsi, rispecchia l'anima vera di questa maggioranza di governo, cioè quella di “imbrigliare le indagini sui colletti bianchi, schermandosi dietro tecnicismi incomprensibili ai più e dietro una maschera di garantismo”. È ormai chiaro che questo governo "antepone sistematicamente agli interessi generali della collettività e della giustizia, l'interesse particolare di limitare, ostacolare e imbrigliare in tutti i modi possibili i poteri di indagine della magistratura nei confronti dei reati dei colletti bianchi, strumentalizzando a questo fine tutte le occasioni che si presentano e celando questo obiettivo dietro complessi tecnicismi che non sono comprensibili al cittadino medio e dietro la maschera di un garantismo di mera facciata", ha detto Scarpinato ricordando come "il giorno successivo all'approvazione di questo disegno di legge il pubblico ministero sarà privato della possibilità di utilizzare le chat che provano la corruzione. Il comma 14 dell'articolo 1 del disegno di legge prevede infatti che i materiali sequestrati non possano essere utilizzati per reati diversi da quelli per i quali sono stati autorizzati i sequestri, tranne che per i delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza, tra i quali, come è noto, non rientrano i reati di corruzione e altri reati dei colletti bianchi. Un esempio paradigmatico di come questa maggioranza approfitti di ogni occasione per mettere sabbia negli ingranaggi del contrasto alla corruzione. Un esempio paradigmatico di garantismo classista, utilizzato alla bisogna come alibi per garantire l'impunità di classe dei colletti bianchi dalla stessa maggioranza, pronta a tramutarsi in feroce giustizialista per i reati della gente comune e degli emarginati, prevedendo l'utilizzo a tutto spiano di intercettazioni e di trojan per reati come i rave party e, da ultimo, persino per il reato di induzione all'accattonaggio, come proposto dall'articolo 13 del pacchetto di sicurezza presentato alla Camera il 12 gennaio 2024 dai ministri Crosetto, Piantedosi e Nordio. L'induzione all'accattonaggio sì, la corruzione no: se questa non è giustizia di classe, cos'è la giustizia di classe? Non lo so".


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© Imagoeconomica


Incompatibilità e paralisi

Si creerà "la diffusione del virus dell'incompatibilità, perché avremo dei giudici che per sequestrare un pendrive in cui c'è una ricevuta diventeranno incompatibili a formare i collegi e quindi nei piccoli Tribunali avremo la moltiplicazione delle incompatibilità e una paralisi", ha detto l'ex magistrato.
Questa situazione ingolferà "ulteriormente, con una miriade di defatiganti adempimenti gli uffici giudiziari - ha detto Scarpinato - che sono già allo stremo per carenza di mezzi e di risorse, allungando a dismisura i tempi del processo e offrendo così a tanti l'ancora di salvataggio di traguardare i tempi di salvifiche prescrizioni. Questo Parlamento - ha concluso - sembra di vivere in un'altra Italia. Mentre il Paese reale è dissanguato, da nord a sud, da un esercito di cricche, di comitati d'affari in combutta con clan mafiosi, nelle Aule parlamentari, dall'inizio di questa legislatura, la principale preoccupazione della maggioranza di Governo non è quella di contrastare la corruzione e la mafia dei colletti bianchi, ma, al contrario, quella di contrastare la magistratura, gli organismi di controllo e il giornalismo investigativo indipendente. Non possiamo che prendere atto che in Parlamento convivono e si confrontano le rappresentanze politiche di due Italie diverse: quella dei potenti intoccabili e quella dei cittadini che credono ancora nella giustizia e nella legalità. E siccome noi rappresentiamo questi ultimi, non voteremo questo disegno di legge".


Il partito dell'impunità

Non c'è stato nulla di originale della discussione generale: alcuni dei senatori del centro destra (Lega - Forza Italia - Fratelli D'Italia) hanno finito per descrivere il pubblico ministero come una sorta di 'dictator' da 'rimodulare' a colpi di riforme e limitazioni; mentre Italia Viva ha puntato sulla tanto gettonata 'presunzione di innocenza', altro cavallo di battaglia buono per tutte le stagioni. Allo stesso tempo, però, Fratelli D'Italia (nella persona del senatore Potenti) si è fatto 'bocca della legge' sentenziando sulla vicenda dei presunti (perché fino a sentenza definitiva sono presunti) accessi abusivi alla banca dati della procura nazionale antimafia: "Il soggetto si è avventurato per fini personali, che poi dovremo ancora chiarire quali fossero", sempre che ci siano, si dovrebbe precisare, nel rispetto della presunzione di innocenza.
Ma se da un lato si salvano gli amici di partito dall'altro si fa la guerra contro i magistrati che, da anni sotto scorta, cercano di combattere il fenomeno mafioso e della corruzione. Roberto Scarpinato, infatti, è stato bersagliato da tutte le forze di maggioranza: nel caldeggiare l'approvazione di un suo emendamento, l'ex magistrato ha criticato le procedure previste dal ddl spiegando che "si tratta di tempi che possono essere utilizzati dai malintenzionati per rimuovere da remoto i contenuti dei cellulari che sono stati sequestrati". "Noi - ha commentato Matteo Renzi prendendo la parola sullo stesso tema - stiamo facendo queste norme per garantire ai cittadini il rispetto dei principi costituzionali della Parte I della Costituzione. E Scarpinato usa il termine 'malintenzionati', frutto di un giustizialismo che è ontologico, per cui il cittadino non è un cittadino che ha dei diritti costituzionalmente garantiti; per lui è un malintenzionato, uno di cui ancora non è stata provata la criminalità", una posizione di fronte alla quale, ha aggiunto, "mi stupisce il silenzio del Pd, che non prende le distanze da un atteggiamento allucinante. Non sono malintenzionati: sono i cittadini, caro Scarpinato!".
L'ex procuratore generale di Palermo ha poi replicato: "Nella mia esperienza di sequestri di cellulari e di materiale informatico - ha spiegato - ho purtroppo avuto a che fare con tanti malintenzionati che sono stati condannati con sentenza definitiva. Ho dovuto sperimentare che alcuni di questi malintenzionati sono stati capaci di alterare i dati sequestrati. Pertanto, non vi è alcuna volontà di offendere i cittadini, ma un dato che traggo dalla mia esperienza".
Per le forze di maggioranza, però, Scarpinato rimane il solito magistrato che vede mafia e corruzione ovunque; meglio a questo punto far finta che non esista, oppure, come altra opzione, resta sempre la convivenza.

Per visualizzare il disegno di legge: clicca qui!

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