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Gli anni del rogo. Così li aveva chiamati Saverio Lodato nelle prime righe di "Quarant'anni di Mafia" gli anni in cui si stava celebrando ancora il primo grado del processo trattativa stato - mafia. La distruzione delle intercettazioni tra l'allora capo dello Stato Giorgio Napolitano e l'ex ministro degli interni Nicola Mancino, gli attacchi contro il pool di pm titolari del processo (Nino Di Matteo, oggi consigliere togato del Csm, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi) e il quasi totale disinteresse della stampa. Ci sono stati anche altri episodi, soprattutto in aula durante il processo, in cui alcuni imputati hanno sgranato il rosario dell'amnesia: "non so", "non ricordo", "non mi viene in mente" e via discorrendo.
Le cose non sono migliorate da allora, anzi, Aaron Pettinari - caporedattore di ANTIMAFIADuemila - durante la diretta del 30 settembre scorso sulla pagina Facebook di Associazione Memoria e Futuro, ha raccontato di un vero e proprio "ritorno all'oscurantismo" in cui non solo si sta cercando di cancellare la memoria (e di conseguenza il passato) ma anche di riscrivere la storia stessa.
Il punto di partenza di questa 'restaurazione', è stata la sentenza di Appello del processo trattativa del 23 settembre. Da quel giorno, quello dopo e quello dopo ancora, i giornaloni hanno lanciato un processo di beatificazione degli ex imputati (solo per quelli istituzionali) e fatto delle dichiarazioni che stavano alla realtà come l'acqua al petrolio.
"La trattativa non c'è mai stata". E invece la sentenza di Appello dice che la trattativa c'è stata eccome, ma semplicemente non costituisce reato. "Mario Mori senatore a vita!", dimenticando di raccontare del mancato blitz a Mezzojuso e della mancata perquisizione del covo di Riina.
Pettinari, intervistato da Luca Gulisano, ha anche parlato della sentenza passata in giudicato per l'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri in cui è scritto nero su bianco la sua condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Nessuno sembra ricordarsi di questi dettagli, o meglio nessuno sembra volersene ricordare.  Nelle motivazioni della sentenza del processo contro Dell'Utri è scritto che per diciotto anni, dal 1974 al 1992, l’ex senatore è stato il garante “decisivo” dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”. Inoltre “la sistematicità nell'erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell'Utri a Cinà (Gaetano Cinà, boss mafioso, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all'accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”.
La Cassazione ha poi evidenziato come “il perdurante rapporto di Dell'Utri con l'associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell'amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall'incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l'imputato, Bontade e Teresi, nel corso del quale Dell'Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l'acquisto di film per Canale 5”.
Tornando al processo, Pettinari ha ricordato che il reato contestato non era quello di 'trattativa' ma di "minaccia o attentato a corpo politico dello Stato", cosa che effettivamente c'è stata, ma solo da parte dei mafiosi. La sentenza di Appello sulla trattativa ha - più di ogni altra cosa - mostrato il volto di uno Stato che non vuole processare se stesso. Ma non tutto è perduto perché i fatti, per quanto nascosti, restano tali.

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