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È alle battute finali il processo "Perfido" sulle infiltrazioni della 'Ndrangheta nella gestione delle cave di porfido in Trentino: la sentenza è attesa per il prossimo 19 dicembre.
Nello specifico si tratta del filone che riguarda due imputati, l'imprenditore Domenico Morello e l'operaio Pietro Denise.
La notizia è stata data dal quotidiano "l'Adige".
Lunedì è stata la giornata dell'accusa delle parti civili che hanno formulato - o in qualche caso confermato quelle avanzate a gennaio - le richieste di risarcimento: Filca Cisl (rappresentata dall'avvocato Alessio Giovanazzi) e Fillea Cgil (con il legale Giovanni Guarini) hanno chiesto 50.000 ciascuna, così come 50.000 euro hanno chiesto i tre operai cinesi ridotti in schiavitù e rappresentati da Bonifacio Giudiceandrea, che ha sottolineato come l'unico a curarsi di loro sia stato Walter Ferrari con il Comitato lavoratori porfido, senza risparmiare critiche ai sindacati.
Il Comune di Lona Lases ha confermato la richiesta di 500.000 euro, mentre altre richieste risarcitorie sono arrivate dall'associazione Libera (100.000 euro), dal giornale Questotrentino e dalla Provincia di Trento.
I pubblici ministeri Licia Scagliarini e Davide Ognibene hanno richiesto per i due imputati pene pesanti: per Morello è stata chiesta una pena di tredici anni e quattro mesi, mentre per Denise sono stati chiesti dieci anni.
Ad entrambi viene contestata l'appartenenza ad una associazione a delinquere di stampo mafioso, reato che viene punito con pene dai 10 ai 15 anni.
L'accusa contesta a Morello la posizione apicale nell'organizzazione, della quale gli inquirenti ritengono sia stato promotore e organizzatore.
Mentre Pietro Denise, sempre secondo gli inquirenti, è stato colui al quale toccava il ruolo di custodire le armi di cui si sarebbe servita l'organizzazione per intimidire maestranze e non solo.
Gli avvocati difensori hanno ribadito l'estraneità dei loro assistiti.
Sempre su "l'Adige" è stato riportato che nel caso di Morello - la cui posizione era stata stralciata dal filone principale del processo nel febbraio scorso, assieme a quella di Pietro Denise in sede di richiesta dell'abbreviato condizionato all'ascolto di testimoni - lui stesso aveva parlato dell'esistenza di una semplice associazione culturale che nulla aveva a che fare con la 'Ndrangheta.
Ma secondo la procura, però, aveva sempre mantenuto per conto della locale di ‘Ndrangheta facente capo a Innocenzo Macheda e insediatasi a Lona Lases, sia i rapporti con le cosche calabresi che con la malavita romana.
Invece per Denise la difesa ha sempre parlato di fraintendimenti nelle comunicazioni intercettate. Ma gli inquirenti ritengono l'operaio "partecipe del sodalizio", persona che "esegue le direttive del capo della cosca locale, fornendo supporto agli altri affiliati" e che "provvede alla manutenzione ed occultamento delle armi" oltre che "pronto a compiere azioni violente".

Fonte: ladige.it

Foto © Imagoeconomica

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