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L’intervista dell’ex pm a Visione TV a commento del rapporto diffuso dal quotidiano che ora rischia di essere querelato per diffamazione

Dalla carta stampata ai programmi di approfondimento, non accennano a diminuire le polemiche nate sulla lista di proscrizione riferita ai cosiddetti “filo putiniani” pubblicate dal Corriere della Sera qualche giorno fa e che avrebbe estrapolato da un rapporto del Copasir.

Un tema delicato, questo, che potrebbe celare più di una semplice tendenza narrativa e che ha scatenato l’ira di giornalisti ed opinionisti per l’evidente diffamazione, come sostengono le vittime di questa sorta di dossieraggio che hanno annunciato di esporre querela al giornale di via Rizzoli. La questione, nelle ultime ore, è su tutte le prime pagine anche perché il presidente del Copasir Adolfo Urso (FdI), tirato in ballo proprio dagli articoli del Corriere, ha smentitp che la presunta lista di filo-putiniani fosse finita in mano ai membri del Comitato, allungando così l’ombra di mistero sull’origine e le ragioni di questa lista.

Ad ogni modo, l’argomento è stato afforntato giorni fa dall’ex magistrato Antonio Ingroia, lo scrittore italiano di origine russa Nicolai Lilin e il caporedattore di Antimafia Duemila Aaron Pettinari, tutti ospiti del programma Dietro il Sipario, condotto da Francesco Toscano per il canale streaming di Visione Tv. E tutti, ovviamente, critici su questa pubblicazione che strizza l’occhio al dossieraggio.

Nel paese c’è una caccia alle streghe e il dissenso viene marchiato. Prima, chi dissentiva veniva marchiato come novax durante la pandemia, oggi, invece, come filo putiniano nella presunta emergenza di guerra. Nel paese si respira aria di regime, basta avere una linea di pensiero diversa rispetto al Governo e il diritto al dissenso viene compresso in maniera straordinaria”, ha detto l’ex procuratore aggiunto di palermo Antonio Ingroia, ora avvocato. Ingroia non le manda a dire nella sua disamina sulle tendenze narrative convenzionali che negli ultimi due anni hanno farcito televisione e giornali. Un modus operandi non basato sull’informazione ma sulla comunicazione e, nel peggiore dei casi, su una mera propaganda capace di allontanare sempre di più il popolo dalla politica e dalle sue azioni.

Una divergenza tra volontà popolare e azione di governo che, come sostiene Ingroia, fa paura. “Teniamo conto che oggi la maggior parte degli italiani sono contro l’invio di armi in Ucraina, mentre, abbiamo tutto lo schieramento parlamentare e mainstream nazionale che spinge nella direzione opposta.” - continua -  “Il sistema ha paura di questa posizione popolare, ecco perché teme anche i liberi pensatori del nostro paese”.

Ben oltre George Orwell
Nicolai Lilin,
parlando di atteggiamento dispregiativo del rispetto della persona e di una società che, negli anni, è stata capace di andare anche oltre le immaginazioni di orwelliana natura, ha commentato: “In occidente ci definiamo democratici. Esportiamo la nostra democrazia a suon di bombe e massacriamo milioni di persone, lanciando missili e mandando militari contro civili disarmati. Contemporaneamente, sempre in occidente, condanniamo Assange e tappiamo la bocca ai giornalisti e agli attivisti, dimostrando al mondo che i nostri valori, in realtà, sono solo una bolla d’aria”.

Un commento, quello dello scrittore di origine russa, capace di puntare i riflettori sulle menzogne raccontate dall’occidente per giustificare gli effetti catastrofici della guerra in paesi come Iraq, Libia e Siria.

Menzogne edificate anche grazie al mainstream e ad un contributo narrativo che Lilin riassume con queste parole: “Diverse le volte in cui guardavo video caricati su youtube dove si vedevano nazisti ucraini massacrare gente ad Odessa il 2 maggio del 2014. Intanto, il mainstream italiano raccontava una versione distorta e limitata dell’accaduto”.

Insomma, appare sempre più evidente che, negli anni, si è consolidata una vera e propria strategia basata sulla paura e pensata per manipolare la volontà popolare con l’obiettivo primario di annichilire il senso critico dei molti e, come ci spiega Nicolai Lilin, nel tentativo improduttivo di creare liste per stanare pubblicamente i responsabili del dissenso.

Annullare il dissenso e veicolare la libertà sociale, in occidente ed in particolar modo in Italia, come ricorda il caporedattore di Antimafia Duemila Aaron Pettinari, è quasi una tradizione. A dimostrarlo, anche nei processi, sono le circostanze che hanno caratterizzato la stagione delle stragi. Eventi macchiati di sangue che non riguardano solo la mafia nei suoi apparati territoriali ma, qualcosa di più grande; un sistema criminale integrato da massoneria e fazioni deviate dello Stato che conferisce alla struttura stessa una natura molto più complessa e, per questo, estremamente pericolosa.

Elementi reali, talvolta confermati anche dai processi che sono stati svolti in questi anni; verità, come racconta Aaron, da sempre ritenute scomode: “Negli anni ‘90 chi teorizzava connessioni tra mafia e apparati di potere esterni, veniva tacciato di complottismo”.

Ricordando una sua vecchia intervista coadiuvata dal direttore di Antimafia Duemila Giorgio Bongiovanni al collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, Aaron Pettinari, descrive quelle “notizie di prima mano”, come le chiamava Giovanni Falcone, che rappresentano ancora oggi la vera forza della mafia. “Cosa Nostra, già nel 1987, prima della caduta del muro di Berlino, sapeva di dover investire nella Germania dell’est.” - continua - "Dovremmo chiederci come sia possibile che, da sempre, circolano queste informazioni all’interno delle organizzazioni criminali. Capire perché, a partire dagli anni ‘70, la ‘Ndrangheta sia diventata l’organizzazione forte che oggi conosciamo e, come sia entrata in contatto con le organizzazioni massoniche e di eversione nera”.

Italia, una Repubblica fondata sui segreti e sulle minacce
Alla domanda di Francesco Toscano sulle “stranezze” che ruotano attorno alla mancata cattura di Matteo Messina Denaro e di una scarsa attenzione da parte dei servizi nel voler rintracciare chi è intento a coprire una latitanza che dura da più di trent’anni, Antonio Ingroia, risponde: “Probabilmente sanno molto bene perché Matteo Messina Denaro non viene catturato. Difatti, il depistaggio sulla strage di Via D'Amelio, operato da chi doveva indagare, ha dimostrato chiaramente il rapporto esistente tra servizi deviati e vertici di Cosa Nostra”. 

Tornando all’articolo del Corriere della Sera e, ricordando certe modalità intimidatorie già eseguite in passato durante le indagini di mafia, Ingroia descrive gli aspetti salienti che caratterizzano la tanto discussa lettera di proscrizione. “Non voglio colpevolizzare i giornalisti che, pubblicando l’articolo in questione, hanno svolto una funzione da ‘buca delle lettere’ per l’invio di quella che sembra essere una minaccia.” - ha continuato - “Infatti, si tratta di una lettera di minaccia anonima. Inizialmente viene presentata come una lista scritta dal Copasir ma, successivamente smentita dallo stesso. Al momento, l’autore che ha indicato nomi e foto, rimane anonimo; a mio parere, questa lettera ha una funzione chiaramente intimidatoria verso due obiettivi principali: i nomi presenti nell’elenco e i cittadini che rappresentano l’opinione pubblica".

Nel racconto di un’Italia a due pesi e due misure, emerge chiaramente la volontà di un paese che, da un lato limita fortemente il “novax” di turno e, dall’altro , tenta in ogni modo di tutelare “i pezzi da novanta” che hanno compartecipato alle azioni criminali di un segmento deviato dello Stato.

Una circostanza paradossale che Antonio Ingroia ha definito come “il tentativo da parte dello Stato di proteggere se stesso”.  Un segmento deviato che ancora oggi opera e controlla attraverso le intimidazioni e, pensando alle azioni nella quale rientrano anche le liste di proscrizione, Ingroia aggiunge: “Se il dissenso esagera e l’opinione pubblica inizia a svegliarsi e ribellarsi al potere, le intimidazioni potrebbero passare alla fase successiva, ovvero, alle maniere forti”.

Una circostanza triste, soprattutto se pensiamo ai luoghi che hanno visto la nascita della cultura occidentale; per questo motivo, Nicolai Lilin, ha sottolineato l’effetto nefasto di una narrazione degradante che rifiuta di vedere i fatti per quelli che sono: “Bisogna considerare degradante il fatto che tutto questo accada nel Paese che, insieme alla Grecia, rappresenta la culla della civiltà occidentale”.

Insomma, la storia d’Italia è costellata da misteri, minacce e ambigue partecipazioni. Una storia che necessita di un riscatto concreto; un atto dovuto che dovrebbe iniziare, come ha precisato Pettinari, con l’apertura dei fascicoli segreti sulle stragi degli anni ‘70 e ’90.

Un dovere capace di consegnare, a trent’anni dalle stragi di mafia, la verità sia ai parenti delle vittime che all’intera cittadinanza. Tutto questo, darebbe nuovamente lustro a verità, giustizia e libertà; tre valori, come ha raccontato Ingroia, che necessitano di essere ripristinati per ridare fiducia ai cittadini.

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