Sembra un grido che proviene dall’aldilà, quello del pubblico ministero di Caltanissetta, Stefano Luciani, che sta svolgendo la sua requisitoria al processo che vede tre poliziotti alla sbarra accusati di essere artefici, chi più chi meno, di aver imbastito il più grande depistaggio giudiziario della storia d’Italia. Quello seguito alla strage di via d’Amelio.
E se diciamo “il più Grande” (parole non nostre, ma di altri giudici che indagarono) è perché tanti altri ce ne furono, forse meno evidenti, ma non per questo meno clamorosi, meno disastrosi ai fini dell’accertamento della verità.
Qui - al centro - c’è la figura di tal Vincenzo Scarantino, pentito a suon di botte e verbalini prefabbricati, che fu usato come testa d’ariete per sviare le responsabilità autentiche della strage del 19 luglio 1992, scaricandone le colpe su soggetti estranei. I quali - non fa male ricordarlo - videro i sorci verdi per dimostrare, ma dopo anni di galera, la loro estraneità ai fatti.
Alla sbarra, dicevamo, tre poliziotti che appartenevano al gruppo investigativo “Falcone Borsellino”.
Nome gloriosus, vien fatto di pensare con il senno di poi, per una struttura che non cercava la verità, ma cercava di costruire verità di comodo, di facciata; gli ingredienti necessari, insomma, per il più grande dei depistaggi giudiziari.
Entro maggio è prevista la sentenza.
Allora sapremo se per il Tribunale di Caltanissetta i tre imputati sono colpevoli, o ingenui pasticcioni accusati ingiustamente.
Però.
Però c’è da dire che la requisitoria del pm sta mettendo in fila fatti e posizioni individuali che sono l’esatto contrario della trasparenza che l'opinione pubblica si attenderebbe in casi del genere. D’altra parte, se dopo trent’anni restano enormi zone d’ombra su una strage che sgomentò l'Italia, una ragione dovrà pur esserci.
Il pm Luciani ha invitato gli imputati a raccontare sino in fondo tutto quello che sanno, indicando chi diede loro gli ordini e perché.
Un grido accorato, dicevamo all’inizio, che sembra provenire dall’aldilà.
E che ha fatto dire a Fiammetta Borsellino che saremmo in presenza di un’Omertà di Stato.
Coraggio, chiamiamo le cose con il loro nome: se la ricostruzione dell’accusa risultasse vera, saremmo in presenza di una ben più grave Complicità di Stato. Che è cosa del tutto diversa dall’Omertà.
E forse si spiega così il silenzio dei diretti interessati.
Un silenzio che magari si nutre di paura.
O no?
Foto © Francesco Piras
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La rubrica di Saverio Lodato
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