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di Augustin Saiz
Quando pensiamo all'energia nucleare pensiamo istintivamente alle catastrofi di maggiore impatto come Chernobyl, Fukushima e 3M Island; alle scelte tecniche ed economiche che dobbiamo affrontare, come la gestione delle scorie nucleari o lo smantellamento di un reattore; o la questione morale di essere obbligati a convivere con il rischio permanente imposto dal funzionamento di un reattore nucleare, potenzialmente capace di distruggere l'ecosistema in cui viviamo per un raggio di diverse centinaia di km…
Oggi, 34 anni dopo Chernobyl, vogliamo segnalare un altro problema che si delinea nel contesto di un nuovo scenario, il quale in realtà si sta già preannunciando (e anche sottovalutando), da decenni, ovvero l’innalzamento del livello del mare delle città costiere dovuto agli effetti del cambiamento climatico.
Recentemente la maggior parte dei 40 modelli compresi nel CMIP, (progetto di intercomparazione di modelli di clima accoppiati) prevedono ad esempio che l’Artico si troverà senza ghiaccio prima del 2050. Sappiamo che i diversi ecosistemi del pianeta mantengono tra loro un fragile equilibrio e che la rottura di uno compromette tutto il resto, generando una spirale di conseguenze molto difficile da prevedere.
Al di là di discutere sulle numerose fonti scientifiche che lo hanno preannunciato, la nuova geografia planetaria è praticamente un dato di fatto. Sia che accada nel 2050 o nel 2100 nessuna gestione di politica pubblica, coordinata a livello globale, potrà realizzare in tempo una gestione efficiente dello smantellamento dei reattori localizzati sulle coste di fiumi e mari a rischio di inondazioni, né delle tonnellate di combustibile usato o dei rifiuti radioattivi stoccati.
Lo sconvolgimento demografico che implica l’innalzamento del livello delle acque e la mancanza di capacità degli stati di intervenire e ridisegnare le nuove società che devono venire trasferite in massa in posti sicuri, rientrano purtroppo in una cultura che sa rispondere solo a necessità immediate e non di sopravvivenza a medio termine.
Anche così, nei peggiori scenari, una popolazione tremendamente colpita potrebbe ricominciare da zero. Ma con centinaia di Chernobyl contemporaneamente, no.
Ci preoccupa moltissimo sentire le voci che propongono l'energia nucleare per contrastare il cambiamento climatico, mentre in realtà stiamo andando verso una catastrofe in cui la radioattività impedirà chiaramente la possibilità di qualsiasi progetto civilizzante successivo a qualunque degli scenari previsti.
Se un impianto nucleare dovesse allagarsi per qualsiasi circostanza, come l’innalzamento del livello dell'acqua, i sistemi di energia che regolano ad esempio la temperatura dell'acqua delle vasche di raffreddamento cederebbero, anche se l’impianto non dovesse essere completamente inondato. Le centinaia di migliaia di barre di combustibile usate disseminate praticamente in tutte le centrali nucleari del pianeta, si volatilizzerebbero liberando una quantità di radioattività maggiore alle 2000 bombe nucleari fatte esplodere durante il periodo post guerra o guerra fredda.
In questo anniversario possiamo quindi azzardare ad immaginare un prossimo o vari Chernobyl. In realtà possiamo farlo con quanti ne vogliamo, perché la situazione è peggiore di quello che possiamo pensare.
Chernobyl, dopo 34 anni, lontano dal rimanere seppellito sotto tonnellate di cemento come punto finale della storia, è, al contrario un'immagine del futuro, verso il quale inevitabilmente ci stiamo dirigendo, ormai quasi in modo irrimediabile.

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