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Ha suscitato molte perplessità e preoccupazioni la mancata approvazione del PiTESAI da parte del Ministero della “Transizione ecologica” presieduto da Roberto Cingolani. L’acronimo PiTESAI si riferisce al cosiddetto Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee finalizzato a ridurre l’impatto ambientale derivante dall’attività di estrazione petrolifera. Il Piano però non è stato concluso entro l’ultima data disponibile, prevista per il 30 settembre. Ma quali saranno le conseguenze di una simile inerzia? L’inquietudine più grande degli attivisti riguarda le possibili concessioni di nuove trivelle ai colossi petroliferi e soprattutto lo svolgimento delle attività di estrazione in maniera estesa ed incondizionata. Esponenti della politica e delle associazioni ambientaliste hanno infatti da subito manifestato la propria disapprovazione rispetto alle mancanze del Ministero: quest’ultime purtroppo sono sintomo di una grave irresponsabilità politica. “Le nuove trivelle sono incostituzionali”, ha affermato il deputato M5s Alberto Zolezzi. All’allarme lanciato da varie organizzazioni Cingolani ha risposto che “fino a quando il PiTESAI non verrà approvato definitivamente, non saranno concesse nuove autorizzazioni per attività di ricerca e produzione di idrocarburi. Anche con riguardo alle autorizzazioni vigenti ma sospese per legge, queste dovranno attendere il piano definitivo”.

Non sono bastate ovviamente tali affermazioni per tranquillizzare le associazioni ambientaliste che pretendono, ormai a gran voce, le dimissioni di Cingolani. I tecnici del ministro hanno, infatti, giustificato il ritardo, affermando che il 30 settembre non era la data limite per l’approvazione del Piano ma solamente per la presentazione di quest’ultimo alla Conferenza Unificata Stato Regioni, come effettivamente è stato fatto. L’approvazione del documento dovrebbe aspettare ancora le integrazioni delle regioni e, solo allora, potrà essere ratificato dalla Conferenza Unificata. Questo processo potrebbe richiedere altri due mesi circa, sempre secondo il Mite. Nel frattempo, rimarrà in vigore la moratoria che sospende le nuove autorizzazioni di ricerca ed estrazione di idrocarburi, come ha ricordato il ministro Cingolani. Anche le attività già autorizzate rimarranno ferme, in attesa del PiTESAI, secondo le previsioni del Mite.

I collettivi ambientalisti non si sono però lasciati convincere. La legge, infatti, parla chiaro e dal 1^ ottobre le attività di ricerca ed estrazione già autorizzate sono riprese, senza dover attendere alcuna approvazione dal Mite. Non solo, ma le stesse compagnie estrattive potranno aspettare il PiTESAI per chiedere di dichiararne l’illegittimità, in quanto approvato dopo i limiti previsti dall’art. 11ter della legge 12/2019, modificato dal decreto Milleproroghe del febbraio 2021.

In effetti, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI) sarebbe dovuto essere un prezioso strumento normativo utilizzato dalle Regioni, dalle Province e dagli Enti locali per l’individuazione programmatica delle aree dove consentire o meno le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. La scadenza non rispettata, quella del 30 settembre, già era stata presentata come una proroga rispetto alla data di termine. Inizialmente, infatti, il Ministro dello sviluppo economico, insieme al Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, avrebbe dovuto approvare il Piano entro il 12 Febbraio 2021. Si può ritenere che queste dimenticanze non siano state dettate dal caso ma siano piuttosto l’effetto di una manovra economica ben organizzata al fine di non ostacolare il mercato del petrolio e dei grandi colossi petroliferi italiani?

Il PiTESAI, anche se non sarebbe stata la risoluzione definitiva all’impatto nocivo delle trivelle, avrebbe permesso di fare un piccolo passo iniziale verso l’abbandono definitivo e totale dei combustibili fossili. Non basta, infatti, definire le aree in cui condurre le attività estrattive: l’ecosistema è uno solo e indebolendo una parte di esso, si indebolisce l’intero ciclo ecologico, riproduttivo e ambientale. La ricerca e la produzione di idrocarburi deve terminare, incondizionatamente. Le trivelle devono essere abbandonate per poter investire nella ricerca di un’energia veramente pulita e rinnovabile. Ma se, persino la limitazione delle attività estrattive risulta così difficile da mettere in pratica, sembra quasi impossibile immaginare una rinuncia totale e definitiva da parte del nostro Paese all’utilizzo degli idrocarburi.

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