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Nela giornata di ieri, a conclusione del processo sulle estrazioni petrolifere in Basilicata, il presidente della sezione penale del Tribunale di Potenza Rosario Baglioni ha emesso una sentenza di condanna nei confronti dell’Eni.
Nel 2016 l’inchiesta portò al sequestro quadrimestrale del Centro Oli di Viggiano (alias Cova), con l’accusa di smaltimento dei rifiuti prodotti dallo stesso. Una vicenda che ebbe anche ripercussioni sulla scena politica. L’allora ministra allo Sviluppo Economico Federica Guidi (Governo Renzi), infatti, si dimise. Assieme a lei fu coinvolto anche l’ex compagno, Gianluca Gemelli, la cui posizione venne poi archiviata.
Oltre alla condanna per traffico illecito di rifiuti, l’Eni è stata condannata anche al pagamento di una sanzione amministrativa pari a 700mila euro e alla confisca di circa 44,2 milioni di euro, da cui sottrarre i costi già sostenuti per l’adeguamento degli impianti. Inoltre, i vertici della compagnia petrolifera sono stati condannati a pene comprese tra 1 anno e 4 mesi e i 2 anni di reclusione. Anche Salvatore Lambiase, ex capo dell’ufficio compatibilità ambientale della Regione Basilicata, è stato coinvolto. Per quest’ultimo, è stata emessa una pena di 18 mesi di reclusione.
Assolti, invece, gli ex direttori generali dell’Agenzia regionale per l’ambiente della Basilicata, Raffaele Vita ed Aldo Schiassi, e i gestori di alcuni impianti di depurazione dislocati lungo il territorio nazionale (in cui venivano smaltiti i reflui di produzione di Viggiano).
Secondo la pm Laura Triassi, che dal 2016 ha seguito l’inchiesta (ora è procuratore capo di Nola), la condanna dell’azienda del cane a sei zampe rappresenta “un segnale importante per la tutela dell’ambiente. Bisogna tutelare la libertà di impresa, ma è necessaria che questa si svolga nel rispetto delle norme e nella tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente”.
L’Eni ha pubblicato una nota in cui ha sottolineato la “pronuncia di assoluzione parziale emessa dal Tribunale (di Potenza, ndr) rispetto all’ipotesi di reato di falsità ideologica in atto pubblico”. Inoltre, “non condivide il riconoscimento di responsabilità per la grave ipotesi di reato di traffico illecito di rifiuti”. L’azienda petrolifera “rimane convinta che l’operato del Cova e dei propri dipendenti sia stato svolto nell’assoluto rispetto della normativa vigente e – ha scritto nella nota -, in attesa di leggere le motivazioni della sentenza, si prepara a presentare al più presto appello”.

Foto © Imagoeconomica

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