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Sono passati oramai 2 anni da quando la National Defense Strategy Commission degli stati Uniti (commissione bipartisan composta da 6 democratici e 6 repubblicani) ha pubblicato il “Providing For The Common Defense”. Un documento in cui si enuncia la nuova strategia di difesa nazionale.
Sul punto, da parte degli organi di stampa tradizionali, è stato sollevato un velo di silenzio, eppure al suo interno vi sono delle constatazioni sibilline di estrema gravità. Basti pensare che come punto focale primario non si parla più di “terrorismo”, ma di “competizione tra le grandi potenze”.
Le proiezioni sono degne del più tetro cinema di Hollywood in cui esplosioni e deflagrazioni rischiano di cancellare definitivamente la razza umana. Purtroppo, però, l'immagine non è quella di una sceneggiatura, ma è un possibile scenario di guerra previsto per i prossimi anni.
Viene messo in evidenza che “se gli Stati Uniti dovessero combattere la Russia in una contingenza baltica o la Cina in una guerra per Taiwan, gli americani potrebbero affrontare una sconfitta militare decisiva".
Ecco dunque alcune visioni della guerra nel futuro, tratte dal documento:
Siamo nel 2019, la Russia attacca le repubbliche baltiche in risposta a false notizie su atrocità contro la sua popolazione nei paesi coinvolti. “Mentre le forze Usa e Nato si preparano a rispondere, la Russia dichiara che un attacco alle sue forze in questi paesi sarà considerato un attacco alla Russia stessa, prospettando una risposta nucleare”.
Per l’anno 2020 si prospettavano profeticamente “proteste di massa contro il regime autoritario di Lukashenko in Bielorussia” che avrebbero “spinto l'intervento russo per 'stabilizzare' quel governo... l'America e i suoi alleati europei impongono dure sanzioni economiche. Piuttosto che fare marcia indietro, la Russia risponde sfruttando le vulnerabilità degli Stati Uniti nel cyberspazio. Gli hacker russi lanciano massicci attacchi informatici alle infrastrutture elettorali statunitensi a novembre, manomettendo i registri di registrazione e il conteggio dei voti e gettando così le elezioni nel caos”.
Non stiamo leggendo Nostradamus evidentemente, la vicenda biellorussa, caratterizzata dal mancato riconoscimento dei risultati delle elezioni presidenziali del 9 agosto, vinte con l'80% dei voti da Aleksander Lukshenko, ha infarcito i giornali con l’ennesima accusa di brogli, proteste popolari e la leader dell’opposizione Tikhanovskaya, rifugiatasi in Lituania (paese membro della Nato) e dichiaratasi pronta a guidare il paese.
Che dire delle elezioni americane, investite da accuse di brogli da parte di Trump ed il suo entourage; ci attenderanno forse sorprese rispetto alla manomissione dei voti nella più grande democrazia del mondo?
La partita è ancora in gioco. Nel frattempo, nell’ottica di avvicinare lo scenario profetico del Baltico alla realtà concreta, non sono mancate quest’anno le consuete pressioni Nato nella regione.
Baltops 2020 è la più imponente esercitazione dell’alleanza nelle acque del mar Baltico avviata nel giugno di quest’anno, con la partecipazione attiva dell’Italia in piena emergenza Covid. Contemporaneamente, ad agosto il numero di intercettazioni di aerei militari stranieri vicino il confine russo è aumentato in modo significativo.
Per quanto riguarda il fronte del Pacifico si ipotizza per l’anno 2024 che la Cina effettui “un attacco di sorpresa contro Taiwan, occupandola”, mentre gli Stati Uniti non sarebbero in grado di intervenire a un costo, in termini di perdite accettabile, dato che, testualmente, “le capacità militari cinesi hanno continuato a crescere, mentre quelle statunitensi sono stagnanti a causa della insufficiente spesa militare”.
Rispetto a questa devastante proiezione il documento prospetta il più imponente aumento delle spese militari americane mai verificatosi negli ultimi 70 anni, nella misura netta del 3/5 per cento annuo, soprattutto per accrescere il dispiegamento di forze statunitensi nella Regione Indo-Pacifica dove “sono attivi quattro dei nostri cinque avversari”: Cina, Nord Corea, Russia e gruppi terroristi.
Durante l’amministrazione Trump le spese militari hanno effettivamente subito un’impennata: dai 611 miliardi di dollari nell’anno 2016, siamo arrivati ai 750 miliardi nel 2020: un aumento di oltre il 22%.
A completare lo scenario, che a tutti i costi insegue i più foschi presagi della commissione, ci sono le continue pressioni statunitensi nei confronti di Taiwan: nel settembre di quest’anno il sottosegretario di Stato americano Keith Krach ha incontrato a Taipei la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e altri leader politici del Paese per discutere di accordi bilaterali economici e militari.
Immediata è stata la risposta cinese, che considera questo atto, una grave ingerenza negli affari interni del paese e ha avviato dunque manovre militari vicino allo Stretto della penisola contesa.
Uno scenario in cui l’aggredito diventa aggressore e l’aggressore aggredito nelle follie dei guerrafondai d’oltreoceano.
Tra una proiezione e l'altra anche una terribile considerazione sulla possibile guerra che verrà: si “dovranno fronteggiare combattimenti di una difficoltà senza precedenti e perdite immense, (le nostre evidentemente), inconfrontabilmente più grandi di ogni esperienza bellica già affrontata”.
Al roboante frastuono che certe parole dovrebbero generare nell'opinione pubblica fa da controaltare il silenzio colpevole della politica e dell'informazione.
E il Mondo va avanti, come in un normale film di Hollywood.

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