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Víctor Basterra è deceduto all’alba di sabato 7 Novembre lasciandoci un lascito difficile da cogliere nel suo valore reale. Dal punto di vista storico, ha fornito una enorme quantità di prove acquisite nei processi che hanno condannato dei genocida e che ci danno la possibilità ancora oggi di riparare la storia della memoria collettiva, quanto mai necessaria. Durante la sua prigionia all'ESMA, nel centro dove veniva praticato ogni tipo di tortura, la sua lucidità lo portò a raccogliere quell'enorme quantità di documentazione che favorì l'identificazione dei desaparecidos e dei loro assassini.
Echeggiano ancora nei tribunali le prepotenti ed isteriche allocuzioni questa settimana, quando il Dottore Fanego, avvocato di genocida, ha protestato contro il giudice nell'udienza sulle prove e testimonianze che Basterra ha presentato contro i suoi difesi. Diceva Basterra: “Non mi piace l'autoriferimento, non mi piace, siamo sempre parte di un insieme, di un collettivo grande ed ognuno ha apportato tante cose, ovviamente c’è chi sempre apporta un po' di più; quello che sì voglio segnalare è che era tanto l'odio, la sorpresa o la delusione messi di fronte al comportamento avuto da loro verso di me e altri compagni, che sono stati presi dall’ira. Leggendo qualche volta la sentenza nel Processo alla Giunta Militare in Argentina, circa 25 repressori espressero quell’anno, 1985, l'odio che provavano verso me, (dicono) che io ero una persona pagata e tante altre cose, è lì che mi resi conto che avevo recato loro molto danno". (1)
Secondo il Pubblico Ministero Mercedes Soiza Reilly, nella fase istruttoria della causa (ESMA), la testimonianza di Basterra sarebbe stata sufficiente da sola "per far sedere ognuno dei 65 imputati sul banco degli accusati". Quel che è certo è che pensare di smantellare l'apparato repressore dell'armata dinnanzi alla giustizia prima di Basterra era un'utopia inimmaginabile. Tuttavia, quella vittoria fu possibile grazie alla speranza sempre viva, pronto sempre a mettere in gioco la sua vita in ogni piccola occasione dall'anonimato. Perché anche sotto tortura o minacce, ha sempre voluto assumersi i rischi, anche se le sue azioni in quel momento non avevano un orizzonte preciso, e non era possibile comprendere allora quello che la storia gli avrebbe poi dato come tornaconto. "Non so se lo farei di nuovo rubare una chiave dell’intelligence, entrare e tirare fuori un mucchio di foto da lì dentro; rubare una cartella, tirarla fuori dal laboratorio, stare lì fino alle 4 del mattino, sentire il rumore di una porta, riporre la cartella allo stesso posto, nella stessa posizione, chiudere la porta, tenermi la chiave e cercare di vedere se era venuto qualcuno. Ed io ero in un centro clandestino, c'erano tantissimi militari che giravano ed era molto pericoloso".
Vivere in democrazia come testimone di genocida che camminano liberamente e mantengono intatta la loro influenza sull'apparato repressore che, nonostante tutto, oggi è ancora vigente, non è per niente facile. In primo luogo furono le Leggi dell’obbedienza dovuta ad abilitare l'impunità su questi crimini esponendo i sopravvissuti per anni, fin quando, finalmente dopo un lungo processo furono abrogate. "Ho sentito dire dalla bocca di diversi di loro ‘esco e gli sparo in fronte a Basterra' (2), dice Alejandra Éboli che oggi fa parte del gruppo di ex figlie ed ex figli di genocida. Suo padre è Miguel Rodríguez, uno dei tanti genocida che si è riusciti a identificare e processare grazie alle foto tirate fuori da Víctor Basterra.
Sicuramente le future generazioni riscopriranno la sua figura che per molti oggi è già una specie di mito della resistenza. In qualche modo, il suo impegno è stato disinteressato a beneficio di una società che in gran parte non lo conosceva. “La prima volta che mi presero, rimasi due ore a La Plata. Mi portarono in un’auto, il tipo che mi portava era un certo Ariel, con la pistola sotto la gamba, avevo una specie di benda agli occhi, e dopo mi portò a La Plata. Rimasi con la mia famiglia due ore e mi portarono via. Da una parte, sentivo dentro che non era stato un atto di umanità, ma che la questione era: 'Vedi, ora sappiamo dove sono tua moglie, tua figlia, tua madre'. Per loro significava avere ancora più controllo, non era un gesto umanitario, di questo non glieli fregava niente… te ne vai, ma non fare il cretino, perché i governi passano, ma la comunità informativa rimane sempre'. E oggi quello è perfettamente riscontrabile. Tuttavia, fino alla fine di Luglio del 1984 veniva ogni dieci giorni l'ufficiale dalla Prefettura, Jorge Manuel Díaz Smith, a controllarmi a casa mia".
Una vita di lotta costante quella di Basterra. In certi momenti del suo lungo percorso, emergeva in lui quella specie di alchimia spirituale necessaria per superare se stesso e riuscire ad abbattere gran parte dell'apparato repressore della dittatura. In questo senso non è esagerato collocarlo allo stesso livello dei grandi nomi della storia che hanno affrontato imperi, nazismi, la dittatura civico-ecclesiastica e militare dell'Argentina che niente ha da invidiare in quanto a ferocia e sete di sangue. "I soggetti avevano tutto il tempo del mondo, potevano “tagliarti le braccia” se volevano perché non dovevano dimostrare a nessuno che tu eri qui. A loro non importava niente, quindi potevano fare qualsiasi cosa con noi. Ed è quello che fecero. Ma c’è anche quell'elemento di resistenza da custodire dentro se stessi in ogni momento… custodivamo dentro di noi un pezzo di dignità, di integrità, mantenevamo vivi quei valori per quanto loro tentassero di distruggerci. Fondamentalmente il loro compito era distruggere i valori che ognuno di noi aveva, per questo motivo qualsiasi gesto di solidarietà veniva fortemente punito. Tuttavia, ci scambiavamo continuamente dei gesti di solidarietà per quanto piccoli fossero. Prendere la mano di una persona che sta soffrendo era qualcosa che molestava le guardie, ma lo facevamo ugualmente (benché quei gesti fossero puniti). Per questo dico che molte volte, quando mi chiedono perché non sono scappato, perché non sono fuggito… Per me io lo facevo ogni volta con quei gesti di resistenza… guardavamo un momento il cielo e mi commuoveva profondamente un raggio di sole, tutti i giorni li guardavamo e sentivamo il canto di un usignolo alle cinque del mattino… lì c’era la vita, lì c’è la vita, quella è la vita". (3)
Ha vissuto i tormenti della dittatura e la sua vita continuò ad essere in pericolo anche in democrazia, avendo messo in ginocchio, con la sua testimonianza, l'apparato ideologico repressore. Oggi gli accusati e condannati per crimini di lesa umanità, insieme al resto di quel settore ideologico che li avalla, respirano alleviati. E nella sua intimità sicuramente incluso festeggiano la morte di quel piccolo uomo che causò loro tanta umiliazione. Basterra, detenuto, che sopportò lunghe sessioni di tortura, umiliazioni e minacce fino all’ultimo giorno della sua vita, elaborò nel tempo la sua testimonianza che li avrebbe finalmente distrutto. Se fosse possibile trasmettere la portata di quel processo in parole, ci troveremo a parlare di una specie di trattato filosofico per la pace mondiale o di una nuova versione della dottrina della no violenza.
Fino all’ultimo è stato un sostegno per i suoi compagni ex sopravvissuti e per tutti coloro che lottano per i Diritti Umani, e che lo vedeva come uno dei suoi massimi punti di riferimento. Non ci sono dubbi che le generazioni a venire vengono riscopriranno la sua figura e faranno proprio il suo lascito in una lotta che ancora non ha saldato quell'enorme debito che abbiamo contratto verso di lui come società. Lungo il percorso molti crederanno di poter giocare con la memoria di Víctor Basterra con la stessa impunità di quando era in vita: relegarlo all’oblio, (“voltare pagina”), mettere in discussione la sua immagine e persino metterla in dubbio, demonizzarlo, accusarlo o organizzare qualche circo mediatico attorno a lui per favorire il politico complice di turno.
Ma non cercate di farlo, vi avvertiamo: Ora Víctor Basterra brilla ancora con più luce e la sua verità è più libera che mai. Non hanno potuto fermarlo quando era in cattività, tanto meno oggi che la sua vittoria impregnerà la coscienza collettiva del paese. Molti lo ricorderemo un 7 novembre, o in qualsiasi giorno dell'anno in cui lo vogliamo ricordare. Invece altri, la notte, non riusciranno mai più a dormire sogni tranquilli.
E sarà Giustizia!
NUNCA MÁS SIGNIFICA NUNCA MÁS.
30.000 DESAPARECIDOS PRESENTES!

Foto: lapulseada.com.ar

Riferimenti:
(1) http://www.laretaguardia.com.ar/2015/10/victor-basterra-el-primer-eslabon-de-la.html
(2) http://www.laretaguardia.com.ar/2018/04/Alejandra-Eboli.html
(3) “Documentario: Esma”

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