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bindi rosy c emanuele di stefano 2di Andrea Giambartolomei
Il procuratore della Figc Pecoraro in Antimafia pasticcia: “Mai accostato Agnelli alle ‘ndrine, interpretazioni dei pm”. La Procura smentisce. Ora il processo sportivo
Sulle contestazioni che hanno portato al deferimento della Juventus, del presidente Andrea Agnelli e di tre manager, il procuratore Figc Giuseppe Pecoraro è inamovibile. Sulle sue dichiarazioni in commissione Antimafia però traballa, fa un passo indietro, ma dopo aver negato di aver “affiancato il Agnelli alla ’ndrangheta” riaccende le polemiche dei tifosi bianconeri che chiedono le sue dimissioni. Ieri a Palazzo San Macuto l’ex prefetto di Roma ha ribadito che “ciò che può non essere irrilevante per la giustizia ordinaria, può esserlo per quella sportiva”. Alla Juve, insomma, non sono contestati reati penali, ma degli illeciti e lui formula “un’accusa di natura disciplinare”, la violazione dell’articolo 12 del codice di giustizia sportiva: “Dice che non sono possibili il bagarinaggio e i contatti con la tifoseria organizzata. La responsabilità è in primo luogo del presidente della società”. Poi aggiunge che “la cosa certa è che i biglietti sono stati dati anche a persone legate alla criminalità”. Per farlo cita una serie di intercettazioni dell’inchiesta “Alto Piemonte” della Dda di Torino da cui è emerso il business del bagarinaggio gestito da persone vicine alla criminalità organizzata come Rocco Dominello, ultrà della Juventus imputato a Torino per associazione mafiosa.
Il senatore dem Stefano Esposito chiede come Pecoraro abbia avvalorato la tesi secondo la quale Agnelli sapesse di aver a che fare con un ultrà legato alla ’ndrangheta: “Hanno arrestato due fratelli di Rocco (Dominello, ndr). Lui è incensurato, noi parliamo con lui”, era l’intercettazione letta il 7 marzo scorso da Pecoraro. Secondo Esposito, che aveva definito quell’intercettazione “fantasma”, Pecoraro aveva attribuito quella frase al presidente bianconero, ma dalla lettura del verbale dell’audizione emerge che quelle parole, pronunciate dal security manager Alessandro D’Angelo, non erano state attribuite a nessuna persona in particolare. L’interpretazione che porta ad Agnelli, ha sostenuto Pecoraro, sarebbe da ricondurre al pm di Torino, ma la procura smentisce.
La presidente della commissione Rosy Bindi cerca di chiudere la questione: “A me basta e avanza sapere che le mafie in Italia arrivano persino alla Juventus e questo è chiaro”, afferma per poi mettere un punto fermo: “Pecoraro ammette oggi che in quella telefonata non si sta parlando del presidente della Juve”. Lui, il figlio di Umberto Agnelli, è atteso ai primi di maggio a Palazzo San Macuto. Poi, il 26 maggio, la Juventus dovrà affrontare il processo sportivo.
(6 aprile 2017)

Tratto da:
Il Fatto Quotidiano

Foto © Emanuele Di Stefano

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