Nuovi elementi dalla inchiesta della Procura generale di Palermo
di Marta Capaccioni
L’attività ufficiale al Commissariato di San Lorenzo, l’attività segreta nella ricerca di latitanti mafiosi, come Riina e Provenzano e gli incontri con il magistrato Giovanni Falcone nel 1989. Tutti moventi che potrebbero aver portato alla morte del poliziotto palermitano Antonino Agostino e di sua moglie in gravidanza Ida Castelluccio (in foto) il 5 agosto 1989.
Su richiesta del Procuratore generale Roberto Scarpinato, insieme ai sostituti procuratori generali Nico Gozzo (oggi alla Procura nazionale antimafia) e Umberto De Giglio, il provvedimento di chiusura delle indagini è stato notificato ai boss Nino Madonia (capomandamento di Resuttana già detenuto dal 1987) e Gaetano Scotto (boss dell'Acquasanta indicato da diversi collaboratori di giustizia come ponte tra Cosa nostra e i servizi segreti deviati) ed a Francesco Paolo Rizzuto, un amico di Agostino che, secondo gli inquirenti, avrebbe assistito al delitto e conoscerebbe particolari importanti per risalire agli esecutori.
Nei confronti dei primi due soggetti, lo scorso 19 maggio 2019, era stata richiesta dalla Procura generale di Palermo l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di omicidio aggravato in concorso, per avere pianificato ed eseguito l’omicidio dell’agente di Polizia e della moglie. La richiesta di applicazione di misure cautelari ai due boss siciliani era stata rigettata con ordinanza dal Gip del Tribunale del capoluogo, Marco Gaeta, che aveva ritenuto deboli le dichiarazioni dei collaboratori e inattendibile quella di Lo Forte, e quindi non ravvisando la sussistenza di un quadro indiziario sufficientemente grave all’individuazione della responsabilità dei soggetti interessati.
Tuttavia l’opera di ricostruzione fatta dalla Procura generale in questi anni di indagine ha messo in mostra una serie di elementi anche inediti sulle attività svolte da Agostino negli ultimi mesi di vita. In particolare gli inquirenti si sono soffermati sui moventi che probabilmente provocarono la sua morte, facendo luce sul complicato asse di interessi tra servizi segreti e Cosa Nostra e sullo scenario intricato che faceva da sfondo all’omicidio.
L’attività ufficiale di Agostino al Commissariato di San Lorenzo
Agostino prestava servizio presso il Commissariato di San Lorenzo, istituito nel 1987 subito dopo l’omicidio dell’undicenne Claudio Domino. Il Commissariato, diretto in quegli anni da Elio Antinoro, al tempo si era distinto per la professionalità e la dinamicità nell’attività di indagine. Ma secondo gli investigatori era anche una “succursale dei servizi di sicurezza”. Una collaborazione molto stretta che avrebbe anche portato a successi, come la cattura del latitante Armando Bonanno.
È in quel contesto che si formò una squadra di investigatori, di cui Agostino faceva parte, che veniva adibita a “compiti peculiari extra ordinem, entrando in tal modo in relazione con personaggi e confidenti utilizzati dal medesimo Antinoro”.
L’attività segreta e parallela di Agostino
Grazie agli accertamenti compiuti dalla Procura generale è emerso che, parallelamente al servizio ufficiale presso il Commissariato di San Lorenzo, l’agente Agostino avrebbe svolto una attività al di fuori di quelle tradizionali svolgendo ruoli di infiltrato o agente sotto copertura.
Il dato emerge in particolare dalle dichiarazioni dei colleghi, come Domenico La Monica, al quale Agostino confidò di “far parte dei servizi segreti”. Inoltre La Monica ha affermato nella sua prima relazione (del giorno dopo dell’omicidio) che “Agostino gli aveva detto che cercava latitanti, ed in specie il Riina e il Provenzano”. A queste parole si aggiungono le dichiarazioni convergenti di diversi collaboratori di giustizia.
Un’attività che avrebbe svolto da solo o in collaborazione, alle volte con Emanuele Piazza, altre con il poliziotto Guido Paolilli (in passato indagato per favoreggiamento in concorso aggravato. L’inchiesta fu poi archiviata dalla Procura di Palermo per avvenuta prescrizione, ndr). Quest’ultimo aveva rapporti personali con l’agente del Sisde Bruno Contrada che, a partire dal 1987, aveva assunto la direzione del Coordinamento dei Gruppi di Ricerca Latitanti.
Inoltre il Sisde in quegli anni distribuì al Commissariato di San Lorenzo una lista dove venivano identificati, diversamente prezzati, i principali latitanti di mafia ricercati che portò alla entrata in campo di veri e propri “cacciatori di taglie” preposti alla loro cattura.
Quello era il periodo per Riina di un attacco sul fronte interno, il c.d. “golpe Puccio”, e di un attacco sul fronte esterno, con la “vicenda Contorno”. Avvenimenti che creavano non pochi problemi alle famiglie dei corleonesi. Infatti i boss al tempo si rifugiavano nelle varie “roccaforti” dell’associazione mafiosa presenti sul territorio, tra cui Vicolo Pipitone dei Galatolo. Dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca si evince come gli associati mafiosi, sotto disposizione di Riina, erano riuniti lì in permanenza.
Ed è proprio in quei luoghi, dove abitavano sia i Madonia sia i Galatolo, che Agostino si sarebbe recato in perlustrazione, seguendo i mafiosi dopo le riunioni e scattando foto. Vicolo Pipitone, peraltro, era frequentato anche dagli agenti Bruno Contrada e Giovanni Aiello, conosciuto come “faccia da mostro”, che avevano, secondo i collaboratori di giustizia, rapporti stretti collusivi con i mafiosi. “Le risultanze processuali acquisite - scrivono i pg - offrono significativi spunti di riscontro riguardo al fatto che Agostino sia stato una fonte segreta di Giovanni Falcone e che proprio grazie a lui Falcone sia venuto a conoscenza della infedeltà di alcuni esponenti degli apparati istituzionali”.
Secondo gli elementi raccolti dalla Procura generale dunque Antonino Agostino avrebbe avuto un rapporto diretto con Giovanni Falcone.
Il poliziotto, Guido Paolilli
Del resto Agostino in quella primavera del 1989 fece parte del servizio scorta di Alberto Volo, ex estremista di destra, “l’uomo cerniera tra Servizi, destra eversiva e mafia” che, nel 1989, si trovò al centro delle indagini condotte dal magistrato Giovanni Falcone sui c.d. delitti politici e in particolare sull’omicidio dell’on.le Piersanti Mattarella, Presidente della Regione Siciliana, assassinato il 6 gennaio 1980.
Volo nel 1989 decise di parlare e la sua collaborazione avvenne tramite la mediazione del Commissariato di San Lorenzo. Nel corso degli interrogatori istruiti dal giudice Falcone, intercorsi tra il 28 marzo e il 18 maggio, quest’ultimo dichiarò di aver fatto parte dei Servizi Segreti e di un’organizzazione denominata “universal legion”, ovvero una struttura paramilitare filo-atlantica molto simile alla Gladio/Stay Behind svelata all’opinione pubblica da Giulio Andreotti solo un anno dopo.
Il Volo era inoltre “a conoscenza che Agostino era inserito nei Servizi segreti”. Nel 2016, quando Volo fu intercettato dalle indagini della Procura generale, questi dichiarava di conoscere “perfettamente” Agostino e che si trattava di cose vecchissime, di quando era “in Gladio e nei servizi”. Del resto sarebbe stato proprio il poliziotto ad accompagnarlo da Falcone al Bunker, dove si svolgevano le indagini sul delitto Mattarella.
Ma i contatti tra il poliziotto e il giudice “antimafia” sarebbero stati ancora più stretti. In effetti Matteo Grutta, dell’ufficio scorte, ha rivelato che “i due si vedevano abitualmente, si chiudevano in macchina e parlavano”. E Giuseppe Cadoni, cugino di Agostino, ha raccontato che una volta il cugino si rifiutò di dargli un passaggio perché aveva fretta “di andare a un incontro con Giovanni in tribunale”, e a lui sembrò evidente che parlasse di Falcone. Non solo, dalle carte dell’inchiesta della Procura generale, emergono anche segretissime missioni a Trapani, dove Agostino, in abiti civili, si sarebbe recato con una valigetta 24h e dove il SISMI aveva aperto il centro “Scorpione”, sede dell’organizzazione Gladio. Per i pg quella era “l’attività tipica delle cosiddette spugne - scrivono i pg - gli agenti dei servizi incaricati di acquisire informazioni sulla mafia”.
Un mese dopo l’ultimo verbale con Volo ci fu il fallito attentato all’Addaura contro Falcone. Rispetto all'ipotesi che Agostino fosse stato presente in quei giorni sul luogo i pg scrivono che le indagini “non consentono in alcun modo di ritenere provata una qualsiasi forma di partecipazione (negativa o positiva)” di Agostino su quella “scogliera”. Certo è che Falcone riferendosi ai mandanti della bomba inesplosa parlò di “menti raffinatissime” e mentre nell’agosto '89, quando si trovava davanti alla salma del poliziotto, disse al dirigente del commissariato San Lorenzo, Saverio Montalbano: “Questo omicidio è un segnale contro di me e contro di voi”.
Che sia collegato alle indagini svolte con Agostino? Anche questo è uno degli aspetti che la Procura generale vorrebbe chiarire in quel processo che si appresta a chiedere e che è tanto atteso dalla famiglia e dagli italiani onesti.
Foto al centro: Giovanni Falcone © Shobha
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