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aiello giovanni eff zoom 610I legami Contrada-Aiello al centro della perquisizione domiciliare dell’ex funzionario del Sisde
di Miriam Cuccu
Anche Giovanni Aiello, ex agente di polizia ritenuto vicino ai Servizi Segreti, è indagato dalla Procura di Reggio Calabria nell’ambito dell'inchiesta sui mandanti degli attentati ai carabinieri compiuti nel ’94 a Reggio Calabria, che ha svelato la complicità nella strategia terroristico-mafiosa di Cosa nostra e 'Ndrangheta. Aiello è più volte entrato nelle indagini della Dda di Palermo: l’ultima delle quali per l'omicidio mai risolto dell'agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, ed è stato soprannominato "faccia da mostro" per la cicatrice che gli deturpa il volto. Nell'inchiesta che ha portato all’operazione “‘Ndrangheta stragista” risponde di induzione a rendere dichiarazioni false all'autorità giudiziaria, reato aggravato dall’aver agevolato la ‘Ndrangheta.
Secondo i pm reggini, che hanno individuato i mandanti degli attentati nei boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, rispettivamente siciliano e calabrese, Aiello avrebbe obbligato l'ex capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi a mentire agli inquirenti sui loro rapporti e sul suo ruolo nella 'Ndrangheta di Reggio Calabria.
E sono proprio i legami tra Aiello e l’ex numero due del Sisde Bruno Contrada, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, ad essere al centro della perquisizione domiciliare disposta ieri nei confronti dello stesso Contrada. L’ex funzionario, scrivono i pm reggini, “è risultato essere la persona più strettamente legata ad Aiello nella Polizia di Stato". Fonte dell'informazione sarebbe "una persona pienamente attendibile che non si nomina per motivi di sicurezza". Contrada, secondo le indagini, avrebbe avuto contatti con un altro ex agente di polizia, Guido Paolilli, dopo che quest’ultimo fu sentito in merito ad Aiello. Sia "faccia da mostro" che Paolilli sono stati indagati a Palermo per l'omicidio dell'agente Nino Agostino, ucciso insieme alla moglie nel 1989. Per Paolilli, che rispondeva di favoreggiamento, la procura chiese ed ottenne l'archiviazione. Aiello, accusato di omicidio, è ancora indagato dopo l'avocazione del fascicolo da parte della procura generale. Contrada avrebbe avuto contatti con Paolilli subito dopo che l’uomo era stato sentito dai pm reggini su Aiello. La perquisizione a casa di Contrada, però, ha dato esito negativo, e l'ex funzionario del Sisde non risulta indagato in questa inchiesta.
Nell'ordinanza di ieri c’è anche il nome del magistrato di Cassazione in pensione Giuseppe Tuccio, attualmente imputato nel processo "Ghota" insieme agli avvocati Giorgio De Stefano e Paolo Romeo, accusato di aver fatto parte di un'associazione segreta finalizzata ad influenzare le decisioni degli enti locali di Reggio Calabria. Tuccio, nel 1982, era a capo della Procura della Repubblica di Palmi, e all’epoca aveva interrogato il pentito Pino Scriva, originario di Rosarno, accusato di fare parte del commando che assassinò a Lamezia Terme nel 1970 l'avvocato generale dello Stato Francesco Ferlaino. Scriva, nella sua deposizione, indicò proprio Rocco Filippone come 'ndranghetista. "Quando questi (il procuratore Tuccio, ndr) - dichiarò Scriva - sentì questo nome, mi guardò e mi disse che Filippone 'è amico di un mio amico di Reggio Calabria'. Capii al volo - disse il pentito - che Rocco Filippone poteva dormire sonni tranquilli ed il suo nome non fu neanche scritto nel verbale redatto dal dottore Tuccio a conclusione dell'interrogatorio che io resi al predetto negli anni 1983/84 presso la caserma dei carabinieri di Tropea".
"L'operazione di oggi - ha dichiarato il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti - conferma il carattere mafioso e terroristico dell'azione condotta dalla mafia e dalla 'Ndrangheta contro i carabinieri, una sorta di 'terrorismo conservativo' finalizzato a bloccare il sistema e certuni equilibri. Un'azione stragista condivisa dalla 'Ndrangheta che ha rovesciato vicende drammatiche sulla vita delle nostre istituzioni, recidendo vite oneste e fedeli allo Stato e alla democrazia, vittime alle quali oggi viene restituita giustizia e dignità".

L’ombra della Falange Armata
Secondo le indagini c’era una comunione d'intenti tra servizi segreti deviati, mafia e 'Ndrangheta per nascondere le vere finalità della stagione stragista del '93-'94, compresi gli attentati contro i carabinieri a Reggio Calabria, e creare un clima di paura nel Paese che favorisse il ricatto della mafia allo Stato. La stessa motivazione che si celava dietro la sigla "Falange armata", usata per rivendicare gli attentati di Firenze, Roma e Milano e che, secondo i magistrati della Dda di Reggio Calabria, era stata ideata dai servizi deviati che si annidavano all'interno della 7a Divisione (sciolta nel 1993) del Sismi, il vecchio servizio segreto militare, e poi suggerita a Totò Riina alla vigilia dei primi atti stragisti. Una strategia alla quale non era estranea la P2 di Licio Gelli. "L'inchiesta della Procura di Reggio Calabria - scrive il gip nella sua ordinanza - è articolata su tre distinte catene indiziarie autonome ma convergenti che depongono per l'identificazione quanto meno a livello di gruppo di comando dell'entità che gelli licio 610suggerì o concordò con le mafie (Cosa Nostra e 'Ndrangheta) le modalità di rivendicazione di una futura campagna terroristica con la sigla Falange Armata, in un settore deviato dei servizi. Specifici elementi consentono di individuare in un settore deviato del Sismi, e, in particolare, della settima Divisione di tale ente (quella che manteneva i collegamenti operativi con Gladio) il gruppo che aveva creato la sedicente Falange Armata". In quella stagione di grandi cambiamenti, segnati dall'inchiesta Mani pulite della Procura di Milano che stava squassando il sistema partitico esistente, quella divisione del Sismi, annota il gip, "non diversamente dalle mafie, vedeva messa in discussione la sua mission nel nuovo periodo storico che si andava ad aprire nei primi anni ’90". Erano dunque questi soggetti, "legati alle vecchie strutture dei servizi in mano a Licio Gelli che non a caso tutelavano - scrive il gip - che concordavano, fra il 1990 ed il 1991, con le principali mafie l'utilizzazione della sigla falange Armata nella rivendicazione di efferati delitti e stragi". Un contatto ed un accordo che, sottolinea ancora il giudice, "era parallelo a quello politico che vedeva, ancora una volta, protagonisti Gelli e le mafie, nel lancio delle liste autonomiste ed andava oltre". Progetto separatista di fatto superato agli inizi del 1994, quando, afferma il gip, "si registrò la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la creazione del movimento politico Forza Italia". L'utilizzo di una sigla che richiamava il terrorismo era dunque "espressione di una (sordida) lotta per il potere" finalizzata a sconcertare l'opinione pubblica, indebolire le forze politiche al potere rendendole più ricattabili, impedire che gli attentati fossero attribuiti, dall'opinione pubblica, alle mafie. E proprio quest'ultimo punto era fondamentale. "Se gli attentati fossero stati ricollegati alle mafie - sottolinea il gip - le condizioni per ricattare lo Stato non ci sarebbero più state" dal momento che "nessun governo avrebbe potuto trattare con le stesse o cedere ai loro ricatti come, invece, almeno in parte successe".
“Fu proprio Riina, come ci è stato riferito da Leonardo Messina e da altri importantissimi collaboratori”, ha sottolineato il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, che “nell'estate del 1991 ad Enna, dove aveva riunito i vertici di Cosa Nostra siciliana, spinse ulteriormente l'organizzazione criminale a 'rompere le corna allo Stato' utilizzando la sigla 'Falange armata'". "E' di questo periodo, anche se numerosi riscontri datano tempi precedenti - ha continuato il magistrato - che si infittiscono i rapporti ed aumentano le pressioni di Cosa Nostra stragista sui vertici delle cosche più rappresentative della 'Ndrangheta calabrese ai quali viene chiesto, in alcune riunioni svoltesi a Nicotera (Vibo Valentia), Lamezia Terme e Milano, l'esplicita adesione al programma autonomista e stragista cui il capo corleonese voleva dare corso. A questa richiesta aderirono i De Stefano, i Libri, i Tegano di Reggio Calabria, i Coco Trovato e i Papalia di Platì creando un asse operativo con quello che appare sempre di più un grumo di interessi politici ed economici attorno a cui ruotano servizi segreti deviati, massoni vicini a Gelli e organizzazioni criminali".
"I carabinieri erano ormai l'obiettivo della 'Falange Armata' perché individuati come un simbolo dello Stato da abbattere" ha quindi spiegato il sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Curcio. "Per avvalorare un clima di maggior terrore - ha aggiunto - i poteri criminali avevano deciso di usare questa sigla, rivendicando il delitto dell'educatore carcerario Umberto Mormile, avvenuto a Lodi l'11 aprile del 1990". Mormile, da fedele servitore dello Stato, denunciò i contatti non registrati nelle carceri, che fruttarono premi e favori, tra uomini della 'Ndrangheta e non meglio precisati personaggi legati ai servizi deviati. Incontri testimoniati dal pentito Antonino Cuzzola, mai interamente verificati in tutti i loro risvolti.

“Lo stragismo si attenuò con Forza Italia”
La strategia stragista, ha detto ancora il pm Lombardo, "si arresta o si depotenzia non appena i corleonesi, la 'Ndrangheta ed altre organizzazioni criminali come la Camorra e la Sacra Corona Unita trovano nel nuovo partito di Forza Italia la struttura più conveniente con cui relazionarsi". "Che la 'ndrangheta non sia coinvolta nelle logica delle stragi voluta da Toto Riina - ha aggiunto il magistrato - è solo falsa politica. Numerose dichiarazioni che abbiamo riscontrato di collaboratori calabresi e siciliani, che erano 'disperse' in decine di inchieste separate, ci hanno permesso di ricostruire un mosaico che dà dignità a questa inchiesta e spiega i motivi che hanno portato all'attacco all'Arma dei carabinieri e ad altri rappresentanti dello Stato”.
Gli inquirenti reggini hanno evidenziato l’esistenza di un "progetto di disarticolazione della democrazia e delle istituzioni", in un quadro politico, come quello degli anni '90, caratterizzato dall'instabilità istituzionale e dalla chiusura della Prima Repubblica. "Sfuma così il tentativo - hanno proseguito - di depotenziare le responsabilità della 'Ndrangheta, per come raccontato finora, a seguito del rifiuto del boss Giuseppe De Stefano agli emissari di Cosa Nostra negli anni '90 durante un incontro nella zona di Nicotera, che avrebbe sancito la contrarietà della 'Ndrangheta alle stragi. E invece 'l'accorduni' prese corpo proprio con gli autori dell'assassinio di don Pino Puglisi, puniglisi pino web3ucciso dai Graviano a Brancaccio perché 'disturbava' taluni equilibri e complicità in quel quartiere di Palermo". Nella ricostruzione della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria appaiono anche molti spunti di indagine chiuse frettolosamente negli anni '70 e negli anni '80, omicidi e intimidazioni contro personaggi pubblici che alla luce di quanto sta emergendo troverebbero una diversa valutazione, un filo di interessi economici e di potere tra parti deviate di istituzioni, estremismo di destra e, appunto, la 'Ndrangheta.
Con gli arresti di Graviano e Filippone, ha detto Antonio Ingroia, ex pm di Palermo e legale di parte civile dei familiari di Antonino FavaVincenzo Garofalo “si va finalmente componendo un tassello alla volta, con fatica e a distanza di troppi anni, quel complesso e oscuro mosaico che fu la stagione delle stragi e degli omicidi di mafia dei primi anni Novanta". "Un mosaico - ha detto - che per primi avevamo visto nel suo insieme, con l'indagine 'Sistemi Criminali' condotta da me insieme ad altri colleghi di Palermo, e di cui purtroppo dovetti scrivere la richiesta d'archiviazione alla scadenza dei termini, indagine da uno stralcio della quale demmo vita all'indagine sulla Trattativa Stato-mafia. Oggi sono perciò doppiamente compiaciuto: perché un'altra Procura ha raccolto il testimone di quella mia indagine e perché posso continuare a seguirne gli sviluppi in qualità di legale di parte civile dei familiari dei carabinieri Fava e Garofalo. Finalmente ha un seguito presso un'altra Procura il quadro che avevamo delineato, e cioé che dietro la strategia terrorista di destabilizzazione dello Stato non ci fu solo Cosa nostra ma ci furono anche le altre organizzazioni criminali meridionali, 'ndrangheta innanzitutto, coinvolte da Totò Riina in un ampio disegno per dare vita a un nuovo assetto globale dei rapporti con la politica dopo che, col finire della Prima Repubblica, i vecchi referenti nei partiti e nelle Istituzioni avevano dimostrato di non essere più in grado di tutelare gli interessi dell'organizzazione”.

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