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dellutri marcello sguardoL’ex senatore dal carcere, intervistato dal Corriere, nega di aver mediato tra mafia e Berlusconi
di Aaron Pettinari

La fuga in Libano? “Una leggenda metropolitana”. La mediazione tra capomafia e Silvio Berlusconi? “Non ho fatto niente di tutto questo”. Gli incontri con Bontate, Teresi e Di Carlo negli anni Settanta? “Mai avvenuti. I giudici hanno detto il contrario, lo so, ma senza prove. La verità è che noi viviamo nel Paese dei pubblici ministeri, sono loro che comandano”. Torna a parlare Marcello Dell’Utri. Lo fa dal carcere di Rebibbia, a Roma, dove sconta una pena definitiva di 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex senatore, intervistato da Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera, se la prende con i magistrati che hanno indagato (e che indagano?) su di lui, “assolvendo” i giudici che, a suo dire, “possono anche sbagliare, o subire i condizionamenti di certi climi, com’è successo a Palermo nel mio processo d’appello”.
Parla, facendo finta di dimenticare le prove che hanno portato alla condanna in Cassazione. Nelle motivazioni della sentenza i giudici della Suprema corte hanno scritto nero su bianco che l’ex senatore, per 18 anni, dal ’74 al ’92, è stato il garante “decisivo” dell’accordo tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra in quanto ha “consapevolmente e volontariamente fornito un contributo causale determinante che senza il suo apporto non si sarebbe verificato, alla conservazione del sodalizio mafioso e alla realizzazione, almeno parziale del suo programma criminoso, volto alla sistematica acquisizione di proventi economici ai fini della sua stessa operatività, del suo rafforzamento e della sua espansione”. Inoltre “la sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”.
I giudici hanno poi messo in evidenza come “il perdurante rapporto di Dell’Utri con l’associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell’amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall’incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l’imputato, Bontade e Teresi, incontro nel corso del quale Dell’Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5". L’ex braccio destro di Berlusconi non rinnega Forza Italia ed il partito creato nel 1994 però rimpiange di essere in cella oggi che “si avvicina il finale”. Poi aggiunge: “Avrei fatto meglio a farmi arrestare prima e scontare subito la condanna”. Eppure se volesse veramente tornare a casa basterebbe poco, decidendosi a “vuotare il sacco” e rivelare quel che sa di quei rapporti con la mafia intrattenuti almeno fino al 1992. Per gli anni successivi Dell’Utri è stato assolto ma di elementi che possano far pensare che gli stessi siano proseguiti non mancano.

Il Paese nelle mani
Basta ricordare le parole del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza che al processo trattativa Stato-mafia aveva ribadito le sue accuse: “Ci recammo presso il bar Doney, in via Veneto a Roma. Già fuori c'era Giuseppe Graviano ad attenderci. Lui era latitante e sebbene sarebbe dovuto salire in macchina mi invita ad entrare al bar per consumare qualcosa. Aveva un'aria gioiosa e mi disse che avevamo ottenuto tutto quel che cercavamo grazie a delle persone serie che avevano portato avanti la cosa. Io capii che alludeva al progetto di cui mi aveva parlato già in precedenza, in un altro incontro a Campofelice di Roccella”. “Poi – aveva spiegato – aggiunse che quelle persone non erano come quei quattro crasti (cornuti, ndr) dei socialisti che prima ci avevano chiesto i voti e poi ci avevano fatto la guerra”. “‘Ve l’avevo detto che le cose sarebbero andate a finire bene’”, avrebbe detto Graviano. “Poi – aveva continuato – mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani”. E per Paese, specifica Spatuzza, "intendo l'Italia”.
Ma all’ex senatore non interessa, giudicando il processo in corso a Palermo “astruso” come quello sulla “P3” che lo vede coimputato con Denis Verdini, un tempo vicino a Berlusconi ed fino a ieri “stampella”, con il suo gruppo, del governo Renzi. Nell’intervista Dell’Utri parla del tempo trascorso in cella, dei suoi studi, arrivando a definirsi “un prigioniero che ha perso una guerra ancora in corso”. Una guerra contro chi? “Contro Silvio Berlusconi, e contro di me per interposta persona”.

Quali leggende metropolitane
Una “vittima”, dunque, capace di ridurre ad una semplice “leggenda metropolitana” la sua fuga verso il Libano (guarda caso uno dei Paesi fuori “dall’Area Schengen”, il trattato che ha abolito le frontiere tra gli stati, per cui non ha valore il mandato di cattura europeo), per darsi alla latitanza. “Se avessi voluto sottrarmi alla giustizia avrei soggiornato nel più famoso albergo di Beirut? Ero andato a verificare la possibilità di una collaborazione tra la mia fondazione ‘Biblioteca di via Senato’ e un’analoga fondazione culturale dell’ex presidente Gemayel” sostiene rispondendo alla domanda di Bianconi. Anche in questo caso, però, l’ex politico, arrestato il 12 aprile 2014 a Beirut, continua ad omettere alcuni dettagli. Si era infatti reso irreperibile a pochi giorni dalla sentenza della Cassazione nonostante l’ordine di custodia cautelare emesso dalla Corte d'Appello di Palermo per pericolo di fuga.
La sua volontà di recarsi all’estero era un dato noto agli inquirenti grazie ad un'intercettazione ambientale della Procura di Roma che indagava su Gianni Micalusi, imprenditore calabrese, nell'ambito di una inchiesta di riciclaggio. Alberto Dell'Utri, parlando con il titolare del ristorante Assunta Madre di Roma, Vincenzo Mancuso, discuteva su un eventuale rifugio all'estero per il fratello, e faceva riferimento al fatto che la Guinea “è un Paese che concede i passaporti diplomatici molto facilmente… bisogna accelerare i tempi”. E Mancuso gli rispondeva: “Ma scusami, Marcello non ha pensato a farsi nominare ambasciatore della Guinea?”.
Ma anche il Libano poteva andare bene in quanto, diceva sempre Alberto Dell'Utri, “Il programma è quello di andarsene in Libano perché lì è una città dove Marcello ci starebbe bene perché lui c’è già stato la conosce, c’è un grande fermento culturale… per lui andrebbe bene”. A questi dati si sono successivamente aggiunte segnalazioni anonime e testimonianze sulla sua presenza in un volo Parigi-Beirut.
Insomma elementi tutt’altro che “leggendari” ma basati su riscontri. E anche fosse come sostiene Dell’Utri si sa che anche “miti” e “leggende” hanno in sé elementi di verità. O non si vuole tener conto anche di questo?

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