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di Miriam Cuccu
A Venezia la presentazione del libro “Collusi” con il pm Di Matteo
“Non è importante che Nino Di Matteo vada avanti o meno, ma che certe cose non si fermino e i cittadini pretendano verità e giustizia”. Il pm di Palermo all’Hotel Cà Sagredo a Venezia, affollatissimo per la presentazione del libro “Collusi” scritto insieme al giornalista Salvo Palazzolo (alcuni ragazzi ascoltavano via streaming fuori dall’entrata con tablet e cassa) ha difeso a spada tratta gli sforzi fatti finora nelle indagini e nell’ostacolatissimo processo sulla trattativa. Con una riflessione di fondo: “Per quanto mi riguarda non so cosa accadrà, ma non credo che perderò mai la forza e la passione di battermi per gli ideali che dovrebbero fare parte di ogni servitore dello Stato, quelli sui quali abbiamo giurato. Nonostante le difficoltà cercherò di mettere tutta la mia forza e volontà fino a quando mi sarà possibile fare questo lavoro. Ma non è giusto – ha riflettuto il sostituto procuratore – che questo lavoro sia lasciato sulle spalle di pochi magistrati e pochi investigatori che sono stati persino definiti, come nel caso mio e di Antonio Ingroia, ricattatori del Capo dello Stato” al tempo in cui scoppiò lo scandalo delle intercettazioni tra Napolitano e l’ex ministro Mancino (comunque mai diffuse dalla Procura di Palermo) seguite dal sollevamento del conflitto di attribuzione.
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Ostacolare processi come quello in corso a Palermo, ha aggiunto Di Matteo, ha portato a far “calare un muro di gomma e di indifferenza”. Muro al quale parte dei cittadini ha invece prontamente reagito, dando vita a manifestazioni di solidarietà da parte di più città d’Italia, e ribadita ancora una volta all’apertura dell’evento organizzato dalle Agende Rosse di Venezia. Gianluigi Placella, portavoce del movimento locale, ha però rievocato l’inspiegabile rimozione dello striscione di solidarietà per il magistrato da parte del commissario governativo, contribuendo così al suo isolamento.
Perché “Collusi”
“Ho accettato di scrivere questo libro per due motivi – ha continuato Di Matteo rispondendo, insieme alla deputata M5S Giulia Sarti, alle domande del direttore di Antimafia Duemila Giorgio Bongiovanni – cercare con umiltà di stimolare una riflessione e contribuire alla conversazione della memoria. Perché avverto quasi con angoscia che questo è un Paese che non ha memoria, che tende ad archiviare alcune pagine per timore di scoprire verità scomode e indicibili. Sono convinto che la conoscenza dei rapporti nel tempo tra mafia e politica sia essenziale per guardare avanti”. Parole che riecheggiano quanto scrisse Falcone nel libro “Cose di Cosa nostra” su un rapporto che va molto al di là della trattativa: “Il dialogo Stato-Mafia, con gli alti e bassi tra i due ordinamenti – sosteneva il magistrato – dimostra chiaramente che Cosa Nostra non è un anti-Stato, ma piuttosto un'organizzazione parallela”.
“L‘organizzazione mafiosa siciliana non cambia – ha proseguito Di Matteo – e si è sempre contraddistinta per la ricerca di connivenza con il potere ufficiale. Il profitto economico è sempre in funzione della gestione di un potere che abbia senso politico, basta riflettere sulle vicende giudiziarie già chiuse” come quella che riguarda il sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti o l’ex presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro, o Silvio Berlusconi (nella sentenza di condanna per l’ex senatore Dell’Utri) per fare solo alcuni dei nomi contenuti nel libro “Collusi”. Tutto questo significa, ha sottolineato Di Matteo, “che non stiamo riflettendo su problemi del passato, ma di qualcosa che, come cittadini, ci riguarda tutti”.
“Questo libro dà forza e coraggio – ha poi ribadito Sarti – perché solo con le leggi non si va da nessuna parte. Ognuno è chiamato ad andare oltre la norma e a porsi delle domande per capire cosa sia successo 23 anni fa durante le stragi” ma anche “sulla condanna a morte di un magistrato nei confronti del quale è sceso un incredibile silenzio dall’interno delle istituzioni”.
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Dov’è la politica?
“Se persone come Fabrizio Cicchitto, tesserato alla loggia massonica P2, e Luigi Cesaro, ex autista del boss camorrista Raffaele Cutolo, fanno ancora oggi parte del Parlamento si capisce perché nemmeno la Commissione antimafia balza sulla sedia per quanto sta succedendo a Di Matteo – ha osservato la Sarti – come potrebbero questi soggetti votare per il reato di voto di scambio politico mafioso, la riforma sulle intercettazioni e sull’ordinamento penitenziario? Andare a revisionare l’articolo 4 bis che esclude gli ergastolani dai benefici carcerari, dando la possibilità anche ai mafiosi che non collaborano, significa smantellare le intuizioni di Falcone e Borsellino, minare vent’anni di lotta alla mafia”.
“È un paradosso – ha dichiarato Bongiovanni – che di fronte a dichiarazioni convergenti di più pentiti sulla predisposizione del tritolo, persista un pesante isolamento nei confronti di Di Matteo, per il quale lo stesso Messina Denaro ha detto che ‘si è spinto troppo oltre’”. Questa Commissione antimafia, ha poi domandato, darà maggior risalto all’escussione dei collaboratori di giustizia? “Attualmente – ha spiegato la Sarti – sono stati istituiti 14 comitati che si occupano di testimoni e collaboratori di giustizia. Molto è stato fatto per i primi, ora dobbiamo avviare il lavoro per i secondi, che potrebbero dare un ulteriore contributo rispetto a quello reso alle indagini” per poi soffermarsi sulla questione della “gestione delle carceri” e soprattutto “ai pericolosi rapporti tra servizi segreti deviati ed ex boss collaboratori detenuti” emersi con il protocollo Farfalla, per il quale “c’è stato un picco di attenzione a luglio dell’anno scorso, dopodiché è calato il silenzio e ora siamo in un limbo”.
Gli “invisibili” tra mafia e corruzione
“Oggi il magistrato calabrese Giuseppe Lombardo parla di ‘invisibili’ – ha continuato Di Matteo – quando nell’89 fallì l’attentato all’Addaura Falcone parlò subito di ‘menti raffinatissime’. In quel periodo importanti funzioni dirigenziali della Squadra Mobile di Palermo e dei Servizi di sicurezza erano ricoperti da due soggetti poi condannati per associazione mafiosa, i dottori Contrada e D’Antone. Sono sentenze che nessuno conosce – ha protestato il pm – e ancora oggi sento dire che la strage Chinnici è senza colpevoli, quando invece furono inflitti 17 ergastoli definitivi e in quella sentenza è scritto che gli imprenditori ‘punciuti’ Nino e Ignazio Salvo diedero l’input a Riina”. Di Matteo si è poi soffermato sul rapporto tra mafia e corruzione: “Siamo di fronte ad un sistema criminale integrato perchè sono due facce della stessa medaglia, che insieme realizzano sporchi affari in un sistema repressivo che non funziona. I fatti sono ancora pochi e ogni tanto assistiamo improvvisamente a dei salti all’indietro. Per questo – ha auspicato il pm – voi cittadini dovete stare attenti e vigilare, soprattutto su ciò che vi spacciano come novità in termini di riforma della giustizia e della magistratura”, quest’ultima messa in atto “per ridimensionarne l’indipendenza e l’autonomia”. Così come per il capitolo intercettazioni: “Credo che i cittadini debbano sapere se l’uomo politico che vogliono votare, pur non avendo commesso reati, abbia mai dato spazio ad un’interlocuzione con il mafioso”.
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