La difesa di Riina potrà fare domande. Ma il Capo dello Stato può ancora revocare la disponibilità a testimoniare
di Aaron Pettinari - 24 ottobre 2014 - Audio
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, all'udienza del prossimo 28 ottobre, dovrà rispondere alle domande dell'avvocato Luca Cianferoni, difensore del capomafia corleonese Totò Riina, sui rischi di attentato subiti dall’allora Presidente della Camera nell’agosto del ’93, in piena stagione stragista, salvo che Napolitano “decida di non essere più disponibile”. La testimonianza del Capo dello Stato torna nuovamente in bilico dopo l'ordinanza del Presidente della Corte Alfredo Montalto. Una volta stabilita l'acquisizione dei nuovi documenti (la nota del comando generale dei carabinieri del 20 giugno 1992 al Sismi in cui si partecipano le preoccupazioni per la vita di esponenti politici e del dottor Borsellino, l'informativa del Sismi datata 29 luglio 1993 sui possibili attentati a Giorgio Napolitano e Spadolini e la successiva del 20 agosto 1993 dove si parla di ulteriori stragi ad opera di soggetti corleonesi in contatto con politici massoni, ndr), il Presidente della Corte ha dato risposte sulla testimonianza del Presidente della Repubblica richiesta proprio da Cianferoni.
Una richiesta ammissibile in quanto rispetto alla nuova documentazione “non è manifestatamente superflua o irrilevante poiché si riferisce a fatti strettamente connessi a vicende già oggetto di ricostruzione nell'ambito della istruzione dibattimentale in corso”. Inoltre, scrive la Corte, “la nuova testimonianza del Presidente della Repubblica non incorre in alcuno dei limiti ricavabili dalla sentenza della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2012 (quella che risolse il conflitto di attribuzioni tra il Colle e la Procura di Palermo, riconoscendo una serie di prerogative al capo dello Stato, ndr) poiché l'articolato di prova ha ad oggetto fatti e conoscenze del teste esclusivamente riconducibili ad epoca di gran lunga pregressa (anni1993-1994) all'assunzione della carica”. Limiti che invece potrebbero arrivare alle domande se il capo dello Stato avesse appreso di quelle minacce durante il suo incarico al Colle, “anche per attività informali”, precisa la corte.
Nonostante l'ammissione della richiesta dell'avvocato di Riina nell'ordinanza si precisa che, proprio per le prerogative costituzionali di cui gode il presidente della Repubblica, la sua deposizione “non può prescindere dalla disponibilità del capo dello Stato, che può essere negata o concessa ed anche successivamente e in qualunque momento, revocata e la corte non potrà che prenderne atto”.
Ciò significa che fino all'ultimo Giorgio Napolitano potrà decidere di non rispondere alle domande. Ed a quel punto si chiuderebbe definitivamente il capitolo della testimonianza del Capo dello Stato dando una nuovo schiaffo al processo dopo la distruzione delle telefonate che lo hanno visto a colloquio con l'imputato ed ex Ministro degli Interni, Nicola Mancino. Se così sarà né i pm, né i giudici avrebbero gli strumenti tecnico giuridici per imporgli la testimonianza.
La “bacchettata” all'Avvocatura dello Stato
Nell'ordinanza, poi, è evidente anche una “bacchettata” all’Avvocatura dello Stato che giovedì si era opposta con forza all’esame di Napolitano da parte dell’avvocato Cianferoni. La Corte ha sottolineato che “non è dato rinvenire nel codice di rito un ‘diritto’ del testimone di conoscere, prima di essere citato, le circostanze sulle quali dovrà essere sentito e di richiedere, quindi, di essere sentito solo ed esclusivamente su quelle”.
Alla stampa accesso negato?
All'udienza odierna c'era attesa per le comunicazioni presidenziali sulla richiesta presentata dall'Ordine dei giornalisti di Sicilia, relativa alla possibilità, per i cronisti di tutte le testate, di seguire la deposizione del Capo dello Stato.
La Corte d'Assise aveva dato il proprio “nulla osta, fatte salve le determinazioni della Presidenza della Repubblica, alla chiesta realizzazione di un collegamento video e/o audio tra la sala nella quale sarà assunta la testimonianza ed una postazione esterna riservata alla stampa”. All'udienza di oggi però si è appreso che al Quirinale né pm né avvocati potranno entrare nella sala destinata all'assunzione della testimonianza con “apparecchi cellulari, computer, e più in generale strumenti di registrazione”. Sarà possibile, invece, procedere alla registrazione ordinaria dell'udienza a cura, secondo quanto si apprende, di tecnici del Quirinale. La comunicazione del Colle implicitamente esclude la effettuazione di un collegamento dei giornalisti, anche in videoconferenza, con la sala in cui avverrà la deposizione e anche l'ingresso di tecnici esterni che possano registrare quanto accade durante il corso della testimonianza. Rumors parlano di una lettera giunta proprio dal Quirinale alla Corte in risposta alla richiesta dell'Ordine dei Giornalisti Sicilia, ma di questa non è stata data lettura in aula. Al tempo stesso resta però valida la precedente ordinanza di Montalto in cui era garantita la pubblicità del processo. Secondo le indiscrezioni la stampa verrà informata di quanto avvenuto solo in un secondo momento, anche se ancora non sono chiarite le modalità, con la trascrizione dell'udienza che verrà comunque operata dai tecnici del Colle.
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DOSSIER Processo trattativa Stato-mafia
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