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di Monica Centofante - 30 gennaio 2009
Promesse.
De Magistris passerà gli anni suoi a difendersi.
Giuseppe Chiaravalloti, indagato nell’inchiesta Toghe Lucane, lo aveva giurato nel corso di un’intercettazione. Allora era una minaccia, oggi è cronaca.


Nell’ambito dell’inchiesta Toghe Lucane, fino al giorno del trasferimento condotta dall’allora pm Luigi De Magistris, l’ex avvocato generale dello Stato presso la Corte d'Appello di Catanzaro, poi procuratore generale di Reggio e quindi presidente della Regione Calabria in quota Forza Italia e commissario delegato per l'emergenza ambientale Giuseppe Chiaravalloti – indagato in quell’indagine – veniva più volte intercettato mentre parlava al telefono con la sua segretaria.
Dopo aver proposto di affidare lo scomodo pubblico ministero alle cure della Camorra
(letteralmente: “Lo dobbiamo ammazzare… no gli facciamo le cause civili per il risarcimento danni e ne affidiamo la gestione alla Camorra napoletana… non è che io voglio soldi…”),
aveva sentenziato: “De Magistris passerà gli anni suoi a difendersi”.
Allora era una minaccia, oggi è cronaca.



La strategia della tensione continua
Poche ore prima di ascoltare il giudice Luigi De Magistris e il consulente tecnico delle procure Gioacchino Genchi, il Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica), presieduto dall’on. Francesco Rutelli, attacca duramente il magistrato a mezzo stampa. Tanto per chiarire, sin da subito, il clima “di serenità” con cui si svolgerà la seduta nel corso della quale lo stesso De Magistris dovrà spiegare con quali modalità aveva consentito al consulente di acquisire tabulati telefonici nell’ambito dell’avocata inchiesta Why Not.
Alla domanda avevano già risposto i giudici di Salerno Luigi Apicella, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani nel famoso decreto di sequestro probatorio sfociato nelle perquisizioni alla procura di Catanzaro dello scorso 2 genchi-gioacchino-web1.jpgdicembre e confermato il 9 gennaio dal Tribunale del Riesame di Salerno. Con il quale avevano accertato, testualmente, che “la condotta tenuta dal pubblico ministero nel conferimento dell’incarico consulenziale … è risultata formalmente e sostanzialmente aderente al dettato normativo”. Ai sensi dell’art. 359 c.p.p. E che non vi era alcun fondato motivo, a seguito della già “illegale” avocazione di Why Not, per revocare l’incarico a Genchi, così come deciso dall’allora procuratore generale facente funzioni Dolcino Favi.
A giustificazione di quel provvedimento, il Favi aveva sorprendentemente prodotto “articoli di stampa, documenti e comunicazioni ricevute dal Procuratore della repubblica di Catanzaro”, le quali però, caso strano, non erano presenti negli atti. E aveva manifestato “l’opportunità, per motivi economici, di conferire l’incarico ai Carabinieri del Ros piuttosto che ad un professionista privato”. Dimostrando in tal modo di non sapere, o di far finta di non sapere, che il Dott. Genchi non è affatto un “privato”, bensì un vicequestore in aspettativa “prestato” alle procure. Presso le quali, tra l’altro, svolge da oltre 15 anni, dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio in poi, un lavoro che ha portato a notevoli successi investigativi tanto da essere considerato negli ambienti giudiziari uno dei massimi esperti del settore. Conclusione dei magistrati di Salerno: le iniziative disciplinari contro De Magistris e Genchi “hanno evidenziato una serie di gravi patologie” e “gravi profili di illiceità”.
Deduzione confermata nelle sedi competenti - e cioè gli uffici giudiziari se è vero che in Italia vige il principio dell’indipendenza della magistratura – che però non era affatto piaciuta al ministro della Giustizia Angelino Alfano, né alla quasi totalità dei suoi onorevoli colleghi – molti dei quali raggiunti da sospetti proprio nell’ambito delle inchieste di De Magistris – che hanno attaccato i giudici di Salerno proponendo al Consiglio Superiore della Magistratura il loro trasferimento.
Puntualmente accettato dal Csm con il plauso dell’Anm.

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