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Le donne continuano a morire, purtroppo, prevalentemente in famiglia e la conferma arriva dai dati diffusi dal ministero dell’Interno. Sono oltre 40 anni che si scrivono leggi in tema di contrasto alla violenza di genere, ma ancora oggi viene uccisa una donna ogni tre giorni.

Nel 2023 sono 74 le donne uccise, 59 in famiglia. Secondo i dati del report settimanale del Viminale, al 13 agosto sono stati registrati 205 omicidi, con 74 vittime donne, di cui 59 uccise in ambito familiare/affettivo – erano 68 un anno fa. Di queste, 36 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner, su un totale di 40 persone uccise dal partner o ex.

Da ultimo il femminicidio di Celine Frei Matzohl, una giovane ragazza di 21 di Bolzano, trovata morta nell’appartamento dell’ex fidanzato a Silandro, in Alto Adige, che secondo le ultime indiscrezioni a fine luglio si era addirittura licenziato dall’hotel di Laces dove lavorava, come tuttofare, per pedinare l’ex fidanzata.
La violenza domestica, poi, in 9 casi su 10, non viene denunciata per la paura delle donne di non essere credute e colpevolizzate con il rischio concreto che vengano tolti i figli sulla base di accuse di sindromi inesistenti.
Tutto ciò anche a causa di una mancanza di formazione e specializzazione degli operatori che ruotano attorno alla violenza, tra cui forze dell’ordine, magistrat*, avvocat*, servizi sociali. In ogni caso l’iter non si conclude con la denuncia, ma è da qui che si deve attivare una forte rete di tutela territoriale che garantisca alla vittima di non sentirsi mai sola, così come è necessario l’utilizzo immediato e obbligatorio di strumenti quali i braccialetti elettronici che consentano di intervenire subito in caso di violazione delle misure cautelari, in modo da fermare in tempo il persecutore violento.

Bisogna, inoltre, sostenere i centri antiviolenza che forniscono un supporto fondamentale alle vittime e spesso sono il primo approdo a cui una donna si rivolge. Così come sarebbe opportuno migliorare i centri per gli uomini maltrattanti, tuttora non distribuiti in modo uniforme nel Paese, per intervenire sul carnefice ed evitare il rischio di recidiva. La pena fine a se stessa non è sufficiente senza una seria rieducazione e presa di consapevolezza di essere il problema.

Non esiste solo la violenza fisica, in cui i lividi si vedono; c’è anche quella psicologica, invisibile agli occhi ma devastante per l’anima, e ancora la violenza assistita in presenza dei minori; poi sussiste quella economica, come espressamente previsto dalla Convenzione di Istanbul. Quest’ultima è la più subdola, perché se una donna non lavora e non ha una propria autonomia economica, trovandosi senza una alternativa per sostenere se stessa e i propri figli, tenderà a rimanere nel circuito della violenza.

È qui che lo stato deve far sentire la propria presenza fornendo quella alternativa alle vittime, in termini di progetti di inserimento lavorativo, abitativo, di imprenditorialità, reddito di libertà, per dare soluzioni concrete. Le leggi ci sono ma è chiaro che non bastano, perché la violenza sulle donne è anche e soprattutto un problema culturale che si nutre di patriarcato sociale e misoginia.

Oltre alle leggi che sono importanti, pertanto, bisogna intervenire in parallelo sul piano culturale per sradicare tutti i pregiudizi, gli stereotipi, le disuguaglianze di genere esistenti nella nostra società a partire dal linguaggio sessista, dal contesto famigliare e dai luoghi di lavoro.

Io ci credo così tanto che ho depositato una proposta di legge che vuole introdurre in modo sistemico e continuativo l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole di ogni ordine e grado in modo da fornire agli studenti e alle studentesse un alfabeto gentile delle emozioni, per aiutarli a gestire anche i sentimenti più negativi tra cui la rabbia e la gelosia. Fornire uno spazio di confronto e di dialogo per evitare che i giovani vadano a trovare le soluzioni e le risposte nella rete.

Solo in questo modo possiamo estirpare fin dall’origine tutti quei germi dell’intolleranza che possono degenerare in comportamenti irrispettosi e nella peggiore delle ipotesi nella violenza. C’è tanto lavoro da fare e non bisogna perdere altro tempo.

Tratto da: ilfattoquotidiano.it

Foto © Imagoeconomica

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