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Sono già trascorsi dieci anni dalla scomparsa del caro Roberto Morrione, fondatore e direttore di Libera Informazione, eppure sembra soltanto ieri il giorno dell’ultimo saluto dato a nome della redazione di allora. Altri colleghi giornalisti ben più qualificati hanno ricordato fin qui l’esemplare giornalista della Rai, uno per cui il termine “Servizio Pubblico” era da prendere alla lettera, come seppe testimoniare ampiamente nel suo lungo cursus honorum, nonostante i rovesci professionali sopportati in ragione della sua coerenza. Parimenti è già stato raccontato cosa abbia significato la straordinaria esperienza vissuta con Roberto negli anni di sua direzione della Fondazione Libera Informazione e della testata collegata. Chi vuole potrà trovare la sintesi di quel percorso in un lungo ricordo scritto lo scorso anno. In questa ricorrenza, penso sia più importante ragionare su cosa sia successo dopo quel 20 maggio 2011, soprattutto perché tra le tante belle parole dette o scritte finora, c’è qualcosa che non mi convince e che mi suona proprio stonato.
Mi riferisco all’espressione “dieci anni senza Roberto Morrione” che ritorna in alcuni scritti o interviste.
Eh sì, perché per me non sono stati dieci anni “senza”, ma piuttosto dieci anni vissuti “insieme” a Roberto Morrione.
Nessuno si risenta o allarmi, la mia non vuol essere una provocazione lessicale, tanto meno un richiamo di carattere religioso, animistico od esoterico, ma piuttosto una consapevolezza costante di tutti questi anni: replicare cioè ogni giorno la lezione di giornalismo (e di vita) appresa per non disperdere il lascito del direttore.




Se Libera Informazione...
Se Libera Informazione ha continuato fin qui la sua corsa è perché non non sono mai venute meno le ragioni di “un osservatorio nazionale permanente sull’informazione in tema di mafie”, nato nel 2006 in esito alla prima edizione di Contromafie, gli stati generali dell’antimafia e all’invito di don Luigi Ciotti. Era una necessità impellente allora, quando la strada prese avvio con Roberto e oggi, dopo alcune stagioni di alti e bassi nell’informazione italiana nei confronti delle mafie, torna a riproporsi in questi termini impellenti, di fronte ad un cambio generazionale, ai segnali discordanti che provengono dal mondo del giornalismo, alla necessità di non abbassare la guardia nei confronti del fenomeno criminale, proprio quando tutto spinge l’attenzione verso altre direzioni, all’interno di una pandemia come quella che stiamo attraversando.
Se Libera Informazione ha continuato a documentare non solo fatti e misfatti delle mafie, ma anche a mettere in pagina gli appuntamenti e le attività del vasto arcipelago dell’associazionismo antimafia (anche oltre i confini sempre in movimento di una realtà unica e importante come Libera), è perché Roberto pensava estremamente utile stimolo al cambiamento il racconto di un’Italia che resiste e non si arrende, prima che alla violenza criminale, alla subcultura mafiosa.
Se Libera Informazione ha proseguito ad ogni anniversario di vittima o strage di mafia a pubblicare servizi e approfondimenti non è stato per un vuoto esercizio di retorica collettiva, ma piuttosto per la convinzione profonda, appresa da Libera e da Roberto originalmente interpretata secondo i registri del giornalismo civile, che il mantra “memoria e impegno” dovessero essere di ispirazione alla politica e alla società per non vanificare il sacrificio di tanti servitori dello Stato e di vittime innocenti.
Se Libera Informazione si è affiancata ad altre realtà come Fnsi, Ossigeno, Articolo 21, Ordine dei Giornalisti nella “scorta mediatica” ai colleghi più esposti, è proprio perché, fin dal suo iniziale tour sui territori, si era schierata al fianco di giovani cronisti e blogger precari esposti non soltanto a violenza e minacce, ma anche al subdolo meccanismo delle querele temerarie che si propone oggi anche ai danni di firme ben più autorevoli. Lo abbiamo continuato a fare in tutti questi anni, spesso in silenzio e senza proclami, senza per questo dimenticarci di dover prendere a volte faticosamente le distanze anche da giornalisti che hanno malinteso il senso della professione, finendo per fare il gioco di interessi oscuri al crocevia di malaffare e crimine, come testimoniato dal cosiddetto “sistema Montante”.
Ora tutto questo è avvenuto dovendo fare i conti con una redazione progressivamente ridotta ai minimi termini, in un contesto di crisi dell’intero comparto editoriale e di ristrettezze economiche, ma soprattutto con gli oggettivi limiti di chi ha preso il posto di Roberto Morrione prima e Santo Della Volpe poi.
Questa è però la strada fatta in questi dieci anni, insieme a Roberto, alla luce del sole, senza cercare scorciatoie e compromessi, pensando che portare avanti l’ultima sfida professionale cui il direttore aveva riservato ogni sua ultima stilla vitale fosse un dovere imprescindibile, una promessa fatta quel giorno davanti alla sua bara.
Nel fare questo, con il massimo di onestà intellettuale, non mi sono nascosto dietro a Roberto, ma ho provato a continuare. Nel suo nome.
Del resto non avrei potuto fare altrimenti, visto quanto mi lasciò scritto in uno degli ultimi messaggi che ancora conservo come prezioso lascito: “L’impresa a cui stiamo dedicando tanto della nostra vita, caro Lorenzo, è superiore a ogni altra questione, purché tutto sia condotto con rispetto, dignità e fiducia reciproca. Lo faremo spalla a spalla, come sempre e guardando “in avanti”, secondo quella mia antica visione da “studi regolari” che ormai conosci bene e che, in modo più prosaico e meno colto, i biliardisti riassumono nel detto “calma e gesso”. Conto su di te, con stima e amicizia”.
Forse, caro Roberto, è arrivato il momento di lasciare che la tua lezione continui grazie alla preziosa semina che hai fatto, tanto in Rai, quanto in Libera. Il frutto prezioso rappresentato dal Premio a te intitolato è di per sé una garanzia che nulla di te andrà perduto.
Forse è arrivato il momento di chiudere questa pagina straordinaria della nostra, della mia vita. O forse no.
Comunque vada, grazie ancora, Roberto. Anche per questi dieci anni insieme.

Foto © Imagoeconomica

Tratto da: liberainformaziona.it

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