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dellutri marcello big7di Giuseppe Lo Bianco
Canale5 dedica una puntata alla campagna pro Marcello: solita fiera delle inesattezze
Ha legami criminali che possano attualmente costituire un pericolo per la società nel caso in cui tornasse a casa? Se la risposta, come sembra ovvio, è no, tenere Dell’Utri in galera è una cattiveria’’ scrive sul Foglio Adriano Sofri, ma l’ex leader di Lotta Continua non ha evidentemente letto l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma che ha negato la libertà al senatore di Forza Italia perché può essere curato in carcere, circostanza che, hanno scritto i magistrati, “esonera il Tribunale dall’esaminare il profilo di pericolosità sociale del condannato’’. E non è stata neanche la più eclatante nel festival di inesattezze emerse dal dibattito svolto venerdi scorso in studio a Matrix, su Canale 5, dove con la moglie Miranda Ratti e Vittorio Sgarbi, giornalisti, magistrati, medici e il Garante dei detenuti chiamati al “capezzale giudiziario’’ del fondatore di Forza Italia hanno discusso della sua scarcerazione negata dai giudici romani, introdotto dalle certezze di Nicola Porro, secondo cui Dell’Utri non avrebbe ricevuto “adeguate cure’’, vivendo una condizione “al limite di una laica crudeltà’’.
Che senso ha fare le perizie se vengono bypassate in questo modo?’’, ha esordito Gianmarco Chiocci, direttore del Tempo. Gli ha risposto l’ex pm antimafia di Palermo Alfonso Sabella, facendo presente che i giudici hanno deciso sulla base di una perizia collegiale. Stesso errore di Vittorio Sgarbi (“va rispettata la competenza, quando io faccio le perizie su opere d’arte il giudice fa quello che dico io’’: infatti i giudici hanno seguito le indicazioni dei periti) che ha parlato di tortura (non c’è un solo dato processuale) e si è spinto a chiedere il carcere “per chi tortura’’, richiesta da cui si è dissociato persino Piero Sansonetti, direttore del Dubbio. E nonostante Paolo Corder, presidente del Tribunale di Udine, abbia fatto notare che “non conta solo la gravità della malattia ma anche se il penitenziario è adeguato per le cure’’ (e su questo i giudici romani non hanno avuto dubbi), il direttore del centro sanitario del carcere di Pisa Francesco Ceraudo ha bollato la sentenza come “politicizzata’’ anche perché, a suo parere, i giudici non hanno tenuto conto che in cella lo stress abbassa le difese immunitarie del detenuto: tema, come gli ha fatto notare in studio Sabella, che il Tribunale nell’ordinanza ha affrontato: “Sono aspetti propri della condizione di ogni soggetto ristretto, si tratta di criticità comuni a gran parte della popolazione detenuta, in quanto insite nello status di detenuto’’. E se la giornalista Claudia Fusani era convinta che il Tribunale abbia tenuto dentro Dell’Utri perché temeva che scappasse (“è già fuggito in Libano, penso ci sia stato un minimo di timore’’), come le ha fatto notare Porro nell’ordinanza del pericolo di fuga non c’è (né poteva esserci) alcuna traccia, Sansonetti si è chiesto “dov’è il fatto?’’, per cui Dell’Utri è stato condannato. “È un reato che non esiste’’, ha detto, dimenticando che il concorso esterno esiste perché lo definisce una giurisprudenza costante dai tempi di Giovanni Falcone, come riconosce anche la Corte europea dei diritti umani almeno dal ’94. Da 25 anni però è al centro di polemiche su cui è stato intervistato l’ex 007 Bruno Contrada, anche lui condannato per concorso esterno, che per Porro ha avuto “revocate tutte le misure’’ dalla sentenza a lui favorevole della Corte europea per i diritti dell’uomo. Naturalmente non è stato revocato nulla, i fatti narrati in sentenza non sono mai stati messi in dubbio dalla Cassazione e a correggere quelle affermazioni è stato ancora una volta Sabella: “Non revocata ma improduttiva di effetti penali’’, ha fatto notare l’ex pm della Procura di Palermo. Che alla fine si è trovato al centro di un “plotone di esecuzione’’, come ha detto scherzando, assumendosi il compito scomodo di fact cheking in studio: “È stata fornita - ha detto - un’informazione leggermente diversa dalla realtà’’.
Compito, quello di smascherare bugie, per lui non nuovo: vent’anni fa impiegò meno di mezzora per invitare Vincenzo Scarantino, il falso pentito di via D’Amelio, che seduto davanti a lui gli stava descrivendo improbabili omicidi commessi mozzando le teste delle vittime con un taglierino, ad alzarsi e ad andarsene: “Vada altrove - gli disse - a raccontare le sue storie’’.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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