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travaglio c barbagallo 190713 2di Marco Travaglio 
Che i politici attacchino i pm che indagano su di loro o sui loro cari, è storia vecchia e scontata (almeno in Italia). Che a farlo siano i partiti di destra, di centro e di sinistra – tutti uguali – nemmeno questa è una novità, almeno per chi conosce la storia, ha buona memoria e non si beve la frottola della “sinistra giudiziaria” (mai esistita). Ma che un magistrato venisse linciato a Camere, reti ed edicole unificate senza che nessun superiore, collega, istituzione, organo di autogoverno e associazione di categoria lo difendesse, questa è un’assoluta novità. È quello che sta accadendo al pm anticamorra di Napoli Henry John Woodcock: un fatto pressoché inedito, se si eccettuano i casi di Luigi De Magistris a Catanzaro e di Nino Di Matteo a Palermo. Woodcock non è indagato, non deve rispondere di alcuna condotta riprovevole, lavora onestamente da una vita senza guardare in faccia nessuno, non ha mai rilasciato interviste sulle sue indagini, non si è mai saputo come la pensi politicamente, non ha mai passato atti riservati né spifferato segreti alla stampa, è sempre uscito prosciolto da ogni procedimento disciplinare. Ma ha il grave torto di essere incappato – indagando su tutt’altro – in una storia di mazzette, traffici d’influenze, depistaggi e fughe di notizie istituzionali intorno alla centrale appaltante del governo (Consip) e all’appalto più grande d’Europa (2,7 miliardi). E di non essersi voltato dall’altra parte quando si è imbattuto in alcuni fra gli uomini più vicini al padrone d’Italia Matteo Renzi. Cioè di avere osservato la Costituzione su cui ha prestato giuramento. Insomma, come diceva Andreotti di Ambrosoli, reo di non aver chiuso gli occhi sugli scandali di Sindona, “se l’è cercata”.
Ecco i risultati. Il suo procuratore capo Colangelo viene prepensionato da un decreto del governo Renzi. Il prepensionamento viene risparmiato con un altro decreto ad alcune supertoghe, fra cui il Pg della Cassazione Ciccolo, che subito lo metterà sotto processo disciplinare. Il capitano Scafarto del Noe che indaga con lui viene indagato per falso aggravato e intercettato a Roma per alcuni errori e omissioni. I renziani chiedono (per fortuna invano) al ministro Orlando di scatenargli contro gl’ispettori. Il suo capo reggente Fragliasso prima conferma la fiducia al Noe e poi nega di aver confermato la fiducia al Noe, cioè a Woodcock che continua a usare il Noe, e lo denuncia Ciccolo per aver violato il riserbo con alcune dichiarazioni (mai rilasciate per essere pubblicate, come conferma la giornalista Liana Milella) uscite su Repubblica e interferito nell’inchiesta sull’inchiesta.
Ciccolo avvia l’azione disciplinare contro di lui, ma non contro il suo capo che ha detto le stesse cose (quello di Scafarto è solo un “errore”). Giornaloni e telegiornaloni manipolano i verbali di Scafarto per fargli dire ciò che non ha mai detto, e cioè che fu Woodcock a commissionargli errori e omissioni dell’informativa. Il sottosegretario Pd alla Giustizia Gennaro Migliore, copiando dall’armamentario berlusconiano, lo accusa di “accanimento giudiziario”; il presidente del Pd Matteo Orfini allude anche a lui accusando il Fatto di “attacco alla democrazia”. La vicecapogruppo turborenziana del Pd Alessia Morani prende per buone le bufale della stampa e le trasforma in interrogazione parlamentare al governo su non meglio precisate “pesanti e gravi ombre sull’operato del pm Woodcock. Dalle parole pronunciate da Scafarto davanti ai pm, poi confermate dalle intercettazioni riportate dai mezzi di stampa, emerge che l’inserimento nell’istruttoria della supposta interferenza di 007 rispetto alle indagini non sarebbe un errore, ma una scelta deliberata di Woodcock… Comportamento doloso tra i cui effetti c’era la possibilità di danneggiare il padre dell’ex- premier Renzi e quindi, indirettamente, lo stesso Renzi”.
Già che c’è, la poverina lo accusa pure della “diffusione illegale delle intercettazioni al Fatto”, chiede “quale sarebbe l’obiettivo del pm Woodcock” e si risponde da sola: “Il dolo nella stesura dell’istruttoria e le intercettazioni illegali rischiano di apparire come tasselli di una strategia concepita a tavolino per danneggiare una persona e, attraverso di lui, un partito politico. Hanno cioè comportato il rischio di alterare pesantemente la democrazia”. Il tutto senz’alcuna prova, chiamata di correo, intercettazione, niente di niente. Ieri Renzi comizia alla “scuola di politica” del Pd dedicata all’incolpevole Pasolini, che si sta rivoltando nella tomba. E, anziché spiegare il ruolo di “Luca” (Lotti?) da lui citato nella telefonata al padre e altre sue frasi imbarazzanti, accusa “un pezzo delle istituzioni” (Woodcock e Scafarto) di “fabbricare prove false contro rappresentanti delle istituzioni” (lui, Luca & C.). Sotto questo sudario soffocante di calunnie e insinuazioni basate sullo zero assoluto, che nemmeno i boss della camorra nemici giurati di Woodcock hanno mai sfoderato, non si leva una sola voce istituzionale, tra quelle che ne avrebbero il potere e il dovere (Procura di Napoli, Procura di Roma, Csm, Quirinale, ministro della Giustizia, Anm), a difendere un servitore dello Stato dalla caccia all’uomo scatenata senza uno straccio di prova dagli unici abilitati a parlare di Consip: indagati e compari. Se i felloni vogliono continuare a starsene muti e inguattati, facciano pure. Ma almeno ci risparmino l’ipocrisia dello sdegno se poi Woodcock parla per ristabilire la verità e difendere l’onore suo e dell’intera magistratura. Questa, nel tradimento collettivo, si chiama legittima difesa. Cinque anni fa raccogliemmo oltre 150 mila firme in difesa dei pm della Trattativa Stato-mafia. Forse è venuto il momento di tornare in qualche modo a farci sentire.

Foto © Giorgio Barbagallo

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 21 maggio 2017

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