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caselli-gian-carlo-web7La strana partita di Totò l’oracolo
di Gian Carlo Caselli - 5 luglio 2013
Il mondo alla rovescia, l’acqua che va verso l’alto: sono le immagini che immediatamente evoca la notizia secondo cui Salvatore Riina – deliberatamente e confidenzialmente – avrebbe più volte parlato con esponenti della categoria professionale che un mafioso più odia al mondo, quella che definisce col termine spregiativo “sbirri” (in questo caso gli agenti della polizia penitenziaria incaricati di custodirlo secondo le regole del 41-bis). O Riina sta imboccando la strada di una mutazione genetica che lo porterà chissà dove; oppure ha cominciato a giocare una partita senza regole (conosciute) che non siano i suoi interessi. Nel senso che le carte le sceglie e magari le trucca lui (pescandole da quale mazzo non si sa); elegge come suoi interlocutori persone o entità che lui stesso decide di chiamare in causa con messaggi o allusioni per lo più criptiche; distribuisce le carte come gli pare e le mescola e rimescola a suo piacimento nel corso della stessa “smazzata”.

ED ECCO che la “trattativa” sembra confermata quando dice “erano loro che cercavano me”. Ma subito dopo smentisce che vi sia mai stato quel “papello” che della “trattativa” è un caposaldo. Altro spariglio: se da un lato sostiene di non aver baciato Andreotti, nello stesso tempo si autoproclama “dell’area andreottiana da sempre”. Anche per quanto concerne il suo arresto dice – adesso – cose che contrastano con sue precedenti dichiarazioni. Riina rimane invece saldamente fermo nel sostenere la teoria che i mafiosi non hanno responsabilità, perché “la vera mafia in Italia sono magistrati e politici che si sono coperti tra di loro” e scaricano tutto sui mafiosi. Si tratta infatti della stessa tesi che – in sostanza – egli aveva già esposto il 24 maggio 1994, nell’aula della Corte d’assise di Reggio Calabria, quando (a telecamere riunite) aveva ammonito che sono i comunisti che portano avanti questa cosa: il signor Violante, il signor Caselli da Palermo, questo Arlacchi che scrive libri; tutta una combriccola d’accordo coi pentiti, pagati per inventare le cose; e il governo (1994: premier era Silvio Berlusconi) si deve guardare da questi attacchi. Peraltro, la sua sdegnata negazione di ogni “responsabilità” non è assoluta, perché (parlando con gli agenti del carcere) fra le tante ha infilato anche questa dichiarazione: “La mafia quando inizia una causa la porta a termine ammettendo tutte le sue responsabilità”. Il che, detto da un boss pluricondannato per stragi e omicidi assortiti, non è proprio rassicurante. Dunque, quello che Salvatore Riina sta disegnando, con le sue “confidenze” alla polizia penitenziaria del carcere di Opera, è un labirinto insidioso e oscuro e il filo di Arianna (se esiste) lo possiede soltanto lui. Ma è un filo che sembra usato più che altro come cappio: nel senso di ricatto, allusione trasversale, minaccia di servire sempre nuove succulente “rivelazioni” su presunti retroscena.

CERTO È che se mai Salvatore Riina decidesse (cosa che per ora sembra escludere) di abbandonare il suo ruolo di oracolo per sottoporsi a un regolare interrogatorio a opera dei magistrati competenti, sarebbe interessante chiedergli – in quanto appartenente all’“area andreottiana da sempre” – cosa sa del-l’omicidio Lima, cosa sa dei cugini Salvo, cosa sa del bancarottiere Sindona e infine cosa sa dei loschi e pesanti maneggi volti a condizionare l’esito del maxi-processo istruito dal pool di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Tutte vicende che hanno contribuito a fare, dell’area andreottiana, l’area politica più inquinata della Sicilia: come aveva lucidamente intuito – fin dai primi anni 80 – il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa. Che non aveva esitato a contestarlo direttamente allo stesso Andreotti.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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