Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Allerta femminicidi: in Italia ogni quattro giorni un uomo uccide una donna

Prima di addentrarci nella cronaca del ritrovamento del corpo esanime della giovane Giulia Cecchettin, è necessario fare una premessa. Giulia è morta per femminicidio. La violenza di genere sui corpi e le vite delle donne ha a che fare con la sistematicità dell’oppressione patriarcale che è in grado di permeare le narrazioni, l’uso delle parole e anche l’informazione. I femminicidi, così come i “transicidi” e i “lesbicidi”, non sono casi sporadici o spontanei, ma sistematici. Sono la diretta conseguenza di una violenza sistemica che bisogna riconoscere in ogni sua forma: economica, psicologica e sociale. Sono il "frutto sano del patriarcato", come ricorda uno dei pilastri portanti del movimento transfemminista internazionale "Non una di meno".
Com'è già noto, il corpo della giovane laureanda è stato ritrovato ieri mattina vicino al lago di Barcis, in Friuli, durante le attività condotte dagli investigatori impegnati nella ricerca di Giulia e dell'ex fidanzato Filippo Turetta, entrambi scomparsi dal Veneziano nella notte tra sabato 11 e domenica 12 novembre. Quest'ultimo, da ieri indagato per tentato omicidio e ricercato con un mandato di cattura internazionale, è stato arrestato questa mattina in Germania. La procura di Venezia ieri ha rivolto a lui un appello invitandolo a costituirsi.
Per rispetto nei confronti di Giulia, della sua famiglia e dei suoi affetti, non ci aggreghiamo alla stampa che continua a descrivere nei minimi dettagli come è avvenuto il delitto e le modalità con cui è stata uccisa la giovane studentessa spettacolarizzandone la morte.
Davanti all’uccisione di Giulia la prima cosa che va detta è che noi uomini siamo responsabili. Tutti. Nessuno escluso. E il motivo si cela dietro alla sistematicità con cui avvengono i femminicidi, che sono l'estrema rappresentazione della violenza di genere che ogni uomo compie nel quotidiano nei confronti delle donne e delle soggettività. L'estrema, ma non l'unica. Trincerarsi dietro frasi del tipo "io non l'avrei mai fatto" oppure "chi uccide è un mostro" significa non avere il coraggio di analizzare il tessuto sociale in cui viviamo e, di conseguenza, non volersi decostruire.
Con Giulia salgono a 83 i femminicidi commessi in Italia da inizio anno, quasi uno ogni quattro giorni. Stando ai dati diffusi dal Viminale in Italia sono stati registrati in totale 285 omicidi, con 102 vittime donne, di cui 83 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 54 hanno trovato la morte per mano del partner o ex partner. Di fronte a questi dati il primo muro che noi uomini dobbiamo abbattere è quello che issiamo dicendo: "Non tutti gli uomini sono così". Purtroppo, non è con un articolo che si cambia questo trend di morte. Non possiamo arrenderci all'idea che un editoriale di fuoco possa sconfiggere il patriarcato che vive in noi, né tanto meno credere che chiamare "bestie" o "mostri" i killer migliori la condizione delle donne. La distinzione tra "i bravi ragazzi" e i "bruti" è uno degli elementi che impedisce a noi uomini di considerarci parte del sistema patriarcale e quindi parte del problema. Ci aliena dalla realtà ponendoci - in modo autoreferenziale - su un altro piano. Come se appartenessimo ad un’altra categoria di esseri umani.
Il patriarcato, e di conseguenza le violenze di genere (contro ogni soggettività), si estirpa con la prevenzione. E su questo la politica è la prima responsabile con la sua assenza e negligenza, non facendo fronte unico sul contrasto alla mattanza di donne in corso da sempre. In queste ore la segretaria dem Elly Schlein è tornata a ripetere la necessità di fare un "passo in avanti per il Paese, mettendo da parte lo scontro politico". "Non basta la repressione se non si fa prevenzione – ha detto –. Approviamo subito in Parlamento una legge che introduca l'educazione al rispetto e all'affettività in tutte le scuole d'Italia". E rivolgendosi alla premier Giorgia Meloni ha aggiunto: "La cultura tossica del patriarcato e della sopraffazione ha attecchito anche nei più giovani. Se non ci occuperemo di educazione al rispetto e all'affettività sin dalle scuole non fermeremo mai questa mattanza. E non basterà mai aumentare solo leggi e punizioni che intervengono dopo le violenze già compiute: serve l'educazione, serve la consapevolezza. Se non si agisce già a partire dalle scuole e nella cultura per sradicare l'idea violenta e criminale del controllo e del possesso sul corpo e sulla vita delle donne, sarà sempre troppo tardi. È in gioco uno dei fondamenti della convivenza sociale. E serve un'azione che veda l'impegno concreto di tutte e tutti".
Oggi l'Italia è uno dei pochi Paesi europei in cui non è previsto l'obbligo dell'insegnamento dell'educazione sessuale a scuola. È un tema di cui si discute dalla prima proposta di legge in materia risalente al 1975 e firmata da Giorgio Bini del Partito Comunista Italiano. In questi quasi cinquant'anni sono stati presentati oltre dieci disegni di legge. Ma nessuno di questi si tradotto in qualcosa di concreto.
Eppure, è la prevenzione è lo strumento più efficace contro le logiche del dominio e del possesso che è insito in ogni uomo nato in questa società eterocispatriarcale.
L’impegno da parte delle istituzioni è necessario anche nella creazione di riforme, leggi e spazi per la formazione del personale amministrativo e per l’informazione per far fronte a quella che ad oggi è una vera e propria emergenza. Basti pensare al potenziale dell'educazione all’affettività che già dall'infanzia contribuirebbe alla crescita dei bambini e delle bambine nel rispetto reciproco dei propri spazi, dei propri corpi e delle proprie scelte. Scelte politiche che andrebbero adottate con la creazione di un pool di esperti/e in diritto, psicologia, sociologia, criminologia, assieme a soggettività decostruite - come la comunità di "Non una di meno", per esempio - affinché il Legislatore possa intervenire coerentemente e concretamente contro la portata criminale del fenomeno spesso ridimensionato ad una semplice “peste di neuroni” o “raptus isterico”.
Un lavoro lungo, ma doveroso che deve accompagnare l'incremento di centri antiviolenza strutturati; dall'educazione affettiva transfemminista, dell'educazione di genere e alla sessualità nelle scuole e nei posti di lavoro; e alla formazione del personale amministrativo, dell’informazione, delle forze dell’ordine e della magistratura.
Ieri sera sono insite le prime manifestazioni e veglie per commemorare la giovane Giulia. E nei prossimi giorni continueranno, specie il 25 novembre in occasione della giornata internazionale per l'eliminazione della violenza di genere. Ma non basteranno ad arginare il patriarcato. Piuttosto, saranno l'ennesima dimostrazione che noi uomini rappresentiamo il principale pericolo per le donne e per le soggettività. Molti di noi uomini scenderanno in piazza accanto alle nostre "sorelle" e "compagne". Una volta tornati a casa, però, tutto tornerà come prima se non avvieremo dentro e fuori di noi un cambiamento. Una decostruzione che coinvolga anche altri uomini in un percorso; in azioni concrete volte a diffondere consapevolezza, conoscenza e coscienza sulla propria responsabilità di genere. Abbattendo così anche la retorica del “senso di colpa” fine a sé stesso che non produce nessun cambiamento. Allontana piuttosto noi uomini dall’agire realmente.
Il tutto accentrando l’attenzione - financo quella mediatica - non sul nostro privilegio ma sulle istanze delle donne. Iniziando dal non rimanere indifferenti di fronte ad una battuta sessista, ad un atto violento, di possessione o ossessione di un ragazzo nei confronti della ex, per esempio. Si tratta dello sviluppo per una "nuova mascolinità" - com'è chiamata negli ambienti militanti - emancipatoria, che non si basi sulle logiche del dominio e del possesso. Fino a quando nessuna donna o soggettività debba sentirsi "fortunata per rimanere viva”.

Realizzazione grafica by Paolo Bassani

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos