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Dietro Caivano solo propaganda, come nel Ventennio

La “marcia su Caivano” si è conclusa. L'esecutivo promette legge e ordine ma fare i conti col passato non è mai roba facile, specialmente se quel passato (che purtroppo è molto presente) si chiama "Cartabia". Conviene quindi fare propaganda, come nel Ventennio.
I cervelli de’ “noantri” hanno annunciato in pompa magna su "Telemeloni" che i genitori che non manderanno i figli a scuola finiranno in galera - "fino a due anni" - e che sarà approvato un disegno di legge per vietare agli under 18 di accedere ai siti a luci rosse.
Ne avessero azzeccata una.
Partiamo dal primo provvedimento. La possibilità del carcere per un genitore che, per una qualche ragione, non manda i propri figli a scuola è vicina allo zero. Una possibilità che ciò accada ci sarà sempre ma l'eccezione non confermerà la regola.
I motivi sono sostanzialmente due: il primo è la riforma Cartabia (entrata in vigore il 19 ottobre 2021) che ha ampliato di molto la possibilità di fare ricorso alle cosiddette "pene sostitutive" per incentivare il "reinserimento sociale".
Sotto il profilo meramente tecnico la riforma estende da 2 a 4 anni il tetto massimo per le pene a vario titolo sostituibili, ciò rende semplicemente inapplicabili le pene "detentive brevi" come quelle volute dal Governo Meloni e dal ministro della giustizia Carlo Nordio.
Con il decreto contro il disagio giovanile siamo intervenuti nei confronti dei genitori e di chi esercita la potestà. Perché la fonte della delinquenza risiede molto spesso nella scarsità di senso civico delle famiglie” ha detto il Guardasigilli durante la conferenza stampa al termine della riunione del Consiglio dei ministri. Tra le nuove sanzioni varate, ha spiegato Nordio, “viene rafforzata la sanzione nei confronti dei genitori che abbandonano i figli e non li fanno andare a scuola. Prima questo reato di dispersione assoluta era punito con una sanzione platonica, noi l’abbiamo elevato al rango di delitto, con una pena detentiva. Responsabilizzando i genitori, crediamo che così venga direttamente aiutato il minore”.


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Giorgia Meloni e Carlo Nordio


Oltre alla riforma Cartabia ci sarà anche l'articolo 656 quinto comma a rendere praticamente nulla la misura che intende varare il governo: “Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni (quattro anni dopo la sentenza della Corte Costituzionale n.41/2018) o sei anni in casi specifici relativi a soggetti tossicodipendenti, il Pubblico ministero ne dispone la sospensione. Entro trenta giorni dalla data in cui viene disposta la sospensione è possibile richiedere una misura alternativa alla detenzione (Affidamento in prova ai servizi sociali, detenzione domiciliare, semilibertà)".
In questo caso, dunque, è possibile evitare il carcere presentando tempestivamente un’istanza con la quale si chiede una misura alternativa. In altre parole, quando si rischierebbe il carcere? La percentuale, come scritto poc'anzi è vicina allo zero.
La seconda misura riguarda il limitare l'accesso ai siti hard: il ragionamento sfiora il ridicolo dal momento che, e questa è una realtà ormai comprovata, i video a luci rosse non esistono soltanto nei siti dedicati ma vengono distribuiti tramite altre applicazioni come Twitter o Telegram. Un po’ come svuotare con un secchio una nave che affonda senza tappare la falla da cui entra l’acqua.
Ed è evidente che questa è solo l'ennesima "esibizione muscolare" di un Governo che simpatizza per i fascisti e per gli amici degli stragisti.
Di questo aveva già parlato l'ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato.

Obiettivo: colpire la criminalità di sussistenza
Ciò che è emerso a Caivano è la cartina di torna sole della cosiddetta illegalità di sussistenza. Ovvero quell’humus composto da migliaia di masse popolari condannate al degrado e alla povertà resa irreversibile dalle politiche neoliberiste che da anni si susseguono. E non riguarda solo Caivano, ma anche le periferie di Palermo, Roma, Milano e tante altre città d’Italia. Si tratta di persone – a volte interi nuclei familiari – che vivono sotto la soglia di povertà, in situazioni di forte disagio abitativo, in aree con una galoppante dispersione scolastica e fiumi di droga che invadono interi quartieri come fosse una pandemia. Persone, appunto, spesso costrette a usare l'illegalità come mezzo per mettere insieme il pranzo con la cena.

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Roberto Scarpinato


Basti pensare ai parcheggiatori abusivi, che Matteo Salvini ha criminalizzato con un’apposita norma. Oppure le bancarelle ortofrutticole che si trovano agli angoli delle strade senza l'apposita licenza, coloro che rubano l'energia elettrica con allacciamenti abusivi, ma anche chi è inserito nella filiera della criminalità organizzata che, a volte, controlla il funzionamento di interi quartieri offrendo beni e servizi laddove ad essere latitante è lo Stato. Di fronte a tutto ciò, servirebbe una classe dirigente che affrontasse questo panorama nella sua interezza e non mostrando i muscoli schierando centinaia di uomini delle forze dell’ordine o varando un nuovo decreto.
Seguendo attentamente la conferenza stampa tenuta ieri dalla premier, ci tornavano alla mente le parole dell’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato – oggi senatore M5S – quando disse che "il sistema penale è lo specchio del sistema Paese, delle sue tare, dei suoi compromessi e soprattutto della realtà di rapporto di forza tra varie componenti sociali". Se "partiamo da questo dato di realtà – ricordava Scarpinato - dobbiamo rimuovere una menzogna convenzionale e cioè che non tutti sono interessati ad un processo rapido ed efficace che coniugi garanzie e realtà, non è vero. C'è un'ampia parte di questo Paese, trasversale alle varie classi social che per motivi diversi non ha interesse ad una giustizia che coniugi garanzie ed efficienza".
Da tempo, forse da sempre, il modus operandi della politica è quello di reagire a episodi di violenza come quello avvenuto a Caivano con una stretta del governo, il blitz delle forze di Polizia e gli elicotteri in cielo che illuminano la notte mentre filmano la retata. Purtroppo, come ha ricordato il magistrato Alfonso Sabella ai microfoni di Radio Cusano Campus, “questi fenomeni sono sempre connessi al degrado. E se non si interviene seriamente sul degrado, è inutile che fanno questi spot con lo Stato che si costerna e si indigna per poi gettare la spugna con grande dignità, come diceva Fabrizio De Andrè in Don Raffae’". Sabella ha inoltre sottolineato come non si possa agire solo con la repressione. “Lo Stato perde quando agisce solo sul piano repressivo – ha sottolineato -. Noi dobbiamo prevenire questi fenomeni e invece stiamo operando come per i suicidi in carcere che avvengono ogni estate. Si dicono due parole di circostanza e poi finita la festa, ‘gabbato lo santo’”.
Fino a quando lo Stato non investirà nel tessuto sociale e nelle periferie per invertire l’andamento della criminalità di sussistenza, operazioni “di bonifica” per “ripristinare legalità e sicurezza” e “far sentire forte la presenza dello Stato ai cittadini” – come la premier ha ribattezzato il maxi-blitz di Caivano – non saranno una vittoria. Bisogna, piuttosto iniziare a parlare di sconfitta perché la repressione senza prevenzione ha sempre il retrogusto della vendetta e del classismo. Un fallimento, cioè, per l’intero Paese.

Foto © Imagoeconomica

Realizzazione grafica by Paolo Bassani

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