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Avv. Repici: "Nell'archiviazione ci sono cose gravi anche nella ricostruzione dei fatti"

A pochi giorni dal 40° anniversario dell'assassinio del Procuratore capo di Torino Bruno Caccia, la procura generale di Milano ha chiesto l’archiviazione per Francesco D’Onofrio, ex militante di Prima Linea accusato di essere stato uno dei partecipanti all'agguato che il 26 giugno 1983 uccise il magistrato.

A chiedere l'archiviazione sono stati il Procuratore generale Francesca Nanni e il sostituto Maria Pia Gualtieri lo scorso 29 giugno. Per l'omicidio del magistrato sono stati condannati, con conferma in Cassazione, Domenico Belfiore come mandante e Rocco Schirripa, accusato di aver partecipato al delitto. Resta, però, il mistero sull’uomo che era con lui sulla 128 verde nel momento dell'agguato. Sospettato numero uno era proprio Francesco D’Onofrio, ma dopo la decisione dei magistrati milanesi non si può più dire. Il suo nome è stato depennato perché non vi sarebbe nulla di nuovo.

"Le indagini non hanno portato indizi significativi - si legge nella richiesta di archiviazione -. Hanno confermato ciò che già si sapeva. Seppur con approfondimenti dettati dalla volontà di non lasciare nulla di inesplorato su un delitto così efferato, che colpì un magistrato onesto, di elevata statura morale e che, per capacità, professionali e integrità, rappresentava un ostacolo alla realizzazione degli affari illeciti della ’Ndrangheta".

Nonostante ciò, i giudici hanno dimostrato di essere consapevoli della "caratura criminale" dell'ex terrorista di Seconda Posizione. "D’Onofrio per il suo spessore criminale poteva benissimo essere uno degli assassini - hanno scritto -. Aveva il pedigree giusto...".

La famiglia da sempre sostiene che ci sono ancora molte ombre e misteri legati alla morte del primo magistrato ucciso nel Nord Italia. Un omicidio di alto livello che vede la partecipazione di più aggregati criminali in una convergenza di interessi. Non solo di matrice 'ndranghetista, come ha più volte sottolineato il legale dei figli di Bruno Caccia, l'avv. Fabio Repici raggiunto nuovamente dai nostri microfoni.


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L'avvocato Fabio Repici © Imagoeconomica


Non sono bastate le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Domenico Agresta di cui la Procura generale di Milano in passato ha sottolineato "l’attendibilità intrinseca". Né tanto meno quelle più recenti di Andrea Montella.
Premetto che io attualmente ho letto soltanto la richiesta di archiviazione e solo nei prossimi giorni potrò consultare il fascicolo del pubblico ministero. Per esempio, non conosco le dichiarazioni di Mantella se non quanto riportato nella richiesta di archiviazione. Né tanto meno conosco gli altri atti.
Da quel che scrivono i pm capisco che secondo la Procura generale le dichiarazioni di Mantella non sono un riscontro sufficiente, per quanto siano un riscontro autonomo. Anche perché da quello che scrivono la linea dichiarativa di Mantella non sembra esser stata sempre ferma e costante nel tempo, ma ci sarebbero state alcune variazioni.
C’è richiesta di archiviazione quindi per i pubblici ministeri andrebbe archiviato.

C’è molto silenzio attorno a questa decisione. Oltre ad un articolo su “La Stampa” le altre testate non hanno ripreso la notizia.
In realtà, ci sono altre questioni importanti. Ciò che non è emerso fino a ora sulla stampa è che, stando alla lettera della richiesta di archiviazione, soprattutto delle ultime righe del documento, ci sarebbe stata un’altra iscrizione sul registro degli indagati. O meglio una riapertura di indagine per un soggetto già indagato in passato: Tommaso De Pace. La richiesta di archiviazione coinvolgerebbe anche lui come uno dei soggetti che sono stati indicati anche dai figli di Bruno Caccia - in modo particolare la figlia Paola - come una delle persone che controllava i movimenti del procuratore nei dintorni di casa sua.

Avvocato, nelle carte la Procura conferma che Domenico Belfiore è il mandante dell'omicidio. Ma, aggiunge che "non si traggono spunti probatori che permettano di affermare - oppure escludere - che Belfiore sia stato anche l’unico mandante"
Questo è il terzo aspetto a cui non è stata data attenzione dalla stampa. Ovvero che dalla richiesta di archiviazione risulta che sarebbe stato aperto (o riaperto) anche un fascicolo contro ignoti, e quindi plausibilmente contro i mandanti dell’omicidio, immagino alla luce delle dichiarazioni di Paola e Guido Caccia. Dalla richiesta di archiviazione risulta che finalmente la Procura generale di Milano qualche anno fa mise fine a quella obbrobriosa lacuna che fino ad oggi gli uffici giudiziari di Milano - pubblici ministeri e giudici - avevano colpevolmente mantenuto sull’omicidio Caccia.

Si riferisce al veto sull’audizione dei colleghi di Bruno Caccia?
Esatto. Dal decreto di archiviazione, inoltre, abbiamo appreso - seppur non ne conosciamo ancora il contenuto - che sono stati sentiti a sommarie informazioni il dottor Flavio Toninelli (uno dei procuratori aggiunti a Torino all’epoca dell’omicidio), Marcello Maddalena e Francesco Saluzzo (due sostituti procuratori del tempo). È stato audito a sommarie informazioni anche Mario Baudano, che non era collega d’ufficio di Bruno Caccia, in quanto giudice istruttore, ma fu colui che consegnò al procuratore torinese - non molto tempo prima del suo omicidio - alcune informazioni relative a Luigi Moschella (in quel momento procuratore di Ivrea) che era al centro di valutazioni molto critiche di Bruno Caccia, come testimoniarono alcuni documenti rinvenuti in un cassetto del suo ufficio.
Cosa si sia fatto e cosa sia stato raccolto sui mandanti occulti dell’omicidio Caccia non lo so e sicuramente andrà valutato con attenzione ciò che risulta dal fascicolo. Tenuto conto del fatto che solo in questi ultimi anni la magistratura ha deciso finalmente di raccogliere le dichiarazioni di Guido Caccia, il quale finora aveva potuto dire le ultime parole a lui confidate dal padre solo al giornalista Fabrizio Gatti. Parole che testimoniavano che di lì a pochi giorni sarebbe successo qualcosa di clamoroso, che però una volta ucciso Caccia non accadde.


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Francesco D'Onofrio, il secondo da sinistra, in un'immagine d'archivio


Appresa questa archiviazione, qual è il suo augurio?
Mi auguro che la Procura generale abbia approfondito gli aspetti che abbiamo affrontato in questa intervista, rimasti sempre abbastanza nell’ombra. E mi auguro anche che siano stati fatti tutti gli sforzi possibili per l’individuazione completa dei responsabili del delitto. Ribadisco che è assolutamente impensabile che l’omicidio del procuratore di Torino possa essere addebitabile esclusivamente alla cerchia ristretta del gruppetto guidato da Domenico Belfiore. Che tra l’altro non è mai stato condannato per 416bis. Quindi, se dovessimo leggere alla lettera la ricostruzione, se ritenessimo che l’unico mandante dell’omicidio Caccia sia Domenico Belfiore, il mandante non è un mafioso. Inoltre, si tratterebbe di un omicidio ideato ed eseguito nel ristretto perimetro di criminali di notevole spessore ma non propriamente di alto livello quanto alle alte sfere del potere criminale. Una situazione che mi sembra alquanto blasfema. Così come non trovo le parole per descrivere quanto accaduto nella ricostruzione di alcuni fatti.

Ci spieghi.
Nella richiesta di archiviazione c’è un gravissimo errore nella ricostruzione dei fatti perché vi è recepita l’erronea prospettazione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nel dicembre 2015 nei confronti di Rocco Schirripa, secondo cui lo stesso sarebbe stato il conducente della Fiat 128 e la persona che sparò i primi colpi di pistola che colpirono Bruno Caccia la sera del 26 giugno del 1983. All’esito del dibattimento di primo grado di quel processo era stata la stessa Procura, e lo stesso pm Tatangelo, a doversi rimangiare le parole che aveva scritto assieme a Ilda Boccassini - pronunciate in conferenza stampa -, circa il fatto che c’era la certezza che Schirripa fosse uno dei due killer. Lo stesso dottor Tatangelo dovette concludere in modo più remissivo affermando che, alla luce delle prove raccolte, c’era la certezza della presenza di Schirripa sui luoghi del delitto ma lo stesso pm non poteva affermare quale fosse stato il ruolo ricoperto da Schirripa. E questo a mia conoscenza è davvero un unicum nella storia giudiziaria italiana. Alla luce di ciò rimane fermo un buco nero nella ricostruzione sull’omicidio Caccia circa l’identità dei due killer ancora ignoti.

Quindi ha ragione “La Stampa” quando afferma che le indagini ora sono "al capolinea"?
Le indagini sono al capolinea nel senso che sono finite, ma senza offrire dati di completezza. Ma ribadisco: rimane un buco nero nella storia d’Italia. La giustizia italiana non ha consegnato né ai familiari di Bruno Caccia né alla società i nomi dei due killer che il 26 giugno ’83 assassinarono il procuratore.

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