Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Inizi dalla prima pagina ed è come accendere le luci su un’agorà, su un teatro antico e assistere in prima fila a una tragedia greca.
Al centro c’è una donna, Vincenzina Marchese, donna di mafia, moglie di boss, moderna Antigone che vede sbriciolarsi i suoi sogni e si suicida, impiccandosi a una corda. Vestita da sposa, con l’abito di pizzo e merletti e le scarpe bianche che le stanno un po’ larghe ai piedi.
A fare il coro c’è la storia. La storia di un martoriato paese in una delle sue stagioni più feroci e più opache: i primi anni novanta, la stagione delle bombe e di quello che poi ne consegue.
La vicenda  di Vincenzina Marchese, che in questa tragedia di Rita Mattei si chiama Carmela, si trova anche su Wikipedia: rampolla di una storica famiglia mafiosa di Palermo, la famiglia di Corso dei Mille, con lo zio rinomato per la camera della morte in cui ammazzava le vittime a mani nude, agli inizi di quegli anni novanta si sposa con il boss corleonese Leoluca Bagarella, appena uscito di carcere dall’Ucciardone. Matrimonio in Rolls Royce, stile il Padrino, senza farsi mancare nulla.
Accanto a lui, donna nell’ombra come richiesto dalla grammatica sociale, Vincenzina attraversa gli anni dell’inferno. I morti il tritolo le autostrade che si squarciano Capaci, Falcone e poi via d’Amelio, avanti un altro, Borsellino, e poi il semtex nel continente la catena geometrica degli attentati Firenze Milano Roma i morti, i bambini morti c’è Nadia che aveva otto anni e il piccolo di Matteo, il figlio del pentito, sequestrato per due anni tenuto a catena come nemmeno un cane e poi ammazzato sciolto nei bidoni con l’acido, signor presidente, una punizione perché  figlio del pentito, dell’infame. E si è pentito anche suo fratello, il fratello di Vincenzina, si è fatto pentito, e questo è un problema…
E lei, che un bambino dio sa quanto lo vorrebbe, non ce la fa, non ci riesce, abortisce due volte, non  è capace a creare una creatura. Forse per punizione di dio, lei pensa... Non ce la fa a diventare madre.
E la ruota della storia che gira va avanti sono gli anni di tangentopoli e di mafiopoli, gli anni della trattativa, del patto sporco e quelli del processo al sette volte presidentedelconsiglio Andreotti. Ma come può lo stato processare se stesso. Il bacio. Il bacio della morte. Quel bacio della mafia che risuona tra i coreuti della tragedia, verso la fine, quando qualcuno dice “abbiamo il paese nelle mani” e ci crede, forse era vero…
E intanto Vincenzina soffre sta male, come donna ombra sta male, come mancata madre sta male e si domanda  “uscire dall’inferno si può’?”
Lo fa così, come Antigone o la regina Fedra, lasciandosi andare con una corda al collo. Amen.
Molto della sua morte è ancora un mistero. Me ne parlò Alfonso Sabella nella lunga intervista che poi è diventata il libro “Cacciatore di mafiosi”.  Proprio a Sabella magistrato infatti Tony Calvaruso, ex autista di Bagarella diventato in carcere collaboratore di giustizia, aveva rivelato i particolari della scoperta del cadavere della donna impiccata e di come con una squadretta di mafiosi l’avessero portata via, di nascosto, in gran segreto, su richiesta del marito, e seppellita in una collina di Badia, vicino Palermo, in una buca nella terra di un podere di un amico mafioso. Il  suo corpo non è mai stato trovato. Altro che tragedia greca.
Solo una donna, solo una donna che nella vita ha fatto la cronista e si è sporcata le scarpe sulla strada, poteva scrivere una cosa del genere.
Rita Mattei l’ha fatto, e per farlo ha fatto un transfert. Come a volte una cronista fa: per capire meglio, per poi raccontare meglio, a volte ci si immedesima. E lei con una delicatezza femminina si è immedesimata. Nel corpo, nella mente, nei pensieri, nell’anima, se esiste un’anima, di questa donna di un mondo altro e ce l’ha narrata, come fosse tra noi. E insieme ci ha raccontato cosa accadeva in quegli anni torbidi, i dietro le quinte, gli orrori, la stagione delle bombe e di quel che ne consegue. Come se attraverso la cruna dell’ago della storia di Vincenzina avesse fatto passare il filo della storia, quella con la esse grande, quella di tutti.
Il titolo “ninna nanna” non tragga in inganno. Non c’è cantilena non c’è dolcezza in questa moderna tragedia greca. Solo nella parte finale il coro intona qualcosa di simile a una ninnananna che esce però da un carillon scordato   “forse quando mi risveglierò sarà una bella giornata e sarò felice”.

ARTICOLI CORRELATI

''Il Patto Sporco'', il racconto proibito dell'Italia di oggi

Silvia Resta: “Ignorati gli avvertimenti di Falcone e Borsellino, l’informazione non ha fatto il suo dovere”


Un libro di Silvia Resta per non dimenticare il partigiano Massimo Rendina

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos