di AMDuemila - 22 maggio 2014
Palermo. “Falcone alla fine del ’91, in un dibattito a Castello Utveggio ci avvertì che Cosa nostra stava entrando in borsa. Ci stava dicendo che la mafia non era più coppola e lupara, ma stava scalando i palazzi del potere ed entrando dentro le cattedrali del potere economico e politico”. Lo ha detto Silvia Resta, giornalista televisiva, nel corso dell'incontro organizzato dall'Associazione culturale Falcone e Borsellino intitolata "Menti raffinatissime", che parte dalle intuizioni del giudice Giovanni Falcone all'indomani del fallito attentato all'Addaura. “Anche Borsellino, pochi giorni prima di morire - ha continuato la giornalista - intervistato da alcuni giornalisti francesi ci diede lo stesso avvertimento. Ci parlava di Vittorio Mangano, boss di Porta Nuova che era arrivato fino ad Arcore dove esisteva un imprenditore del settore televisivo ed edilizio (Silvio Berlusconi, ndr) che cominciava ad avere legami con la politica”, “ci metteva in guardia perché Cosa nostra non era più solo pizzo e droga, ma sta diventando altra cosa”.
La Resta ha ricordato che all’indomani della morte di Falcone e Borsellino “si è cercato di oscurare questi avvertimenti che erano stati lanciati, e che trovano esplicitazione con le elezioni del ’94 in cui nasce una forza politica (il partito Forza Italia, ndr)”, “figlia di Marcello Dell’Utri, un personaggio di cui Borsellino aveva già parlato” e da poco “condannato in via definitiva per mafia”
Questa forza politica, ha continuato la giornalista, “ha preso potere in questo Paese per vent’anni, e ci ha lasciato solo macerie. Io penso - ha detto ancora - che in questi vent’anni l’informazione non ha fatto fino in fondo il suo dovere, forse per via di quelle menti raffinatissime che hanno controllato passaggio per passaggio, processo per processo”, “i giornalisti che hanno provato ad indagare, a puntare il dito contro il potere criminale sono stati additati come anti italiani, colpevoli di tradire la democrazia” perché “nelle grandi televisioni e redazioni è stato fatto un controllo capillare su questi temi”. Ma, ha precisato la Resta “questo ventennio non è ancora finito, e ancora oggi un giornalista non tira le somme” per “comprendere che questa mafia che Falcone aveva capito voleva scalare i palazzi c’era infine arrivata”.
“Oggi sono venuta qui - ha poi concluso - per chiedere scusa a Di Matteo, a Tartaglia, a Del Bene, che non mi vedono mai durante le udienze del processo trattativa Stato-mafia. Perché a fare i servizi televisivi non mi ci mandano”. “Chiedo scusa a nome di tutta la stampa italiana, sperando che con il sostegno di tutti voi, soprattutto dei giovani, si possa riportare l’informazione a una dimensione civile”.