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72 anni fa i sovietici entravano a Birkenau. Il genocidio venne alla luce ma altri continuano ad essere dimenticati

Il 1° novembre 2005 il Palazzo di Vetro, sede dell’ONU, con la risoluzione 60/7, istituì la giornata della memoria per commemorare le vittime dell’Olocausto. La data scelta fu il 27 gennaio, data in cui, nel lontano 1945, le truppe dell'Armata Rossa, mai adeguatamente ricordate dall’opinione pubblica occidentale, impegnate nella offensiva antinazista in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Birkenau (Auschwitz). Quando i sovietici aprirono i cancelli del campo vennero rilasciati tutti gli internati: ebrei (donne e bambini inclusi), slavi, sinti, rom, dissidenti politici, omosessuali, comunisti e tanti altri. La loro liberazione permise al mondo di conoscere per la prima volta gli orrori che i nazisti compivano tra quelle mura e quelle degli altri campi distribuiti in Germania e in Polonia, come quelli di Belzec, Sobibor e Treblinka. Con l’avanzare, da un lato, dei sovietici, e dall’altro, degli alleati, i campi vennero abbandonati ma i nazisti tentarono comunque di seppellire i crimini da loro commessi in queste fabbriche di morte appiccando incendi e sotterrando prove. Tentativi vani. Le nefandezze vennero comunque alla luce. Si calcola che furono circa 15 milioni i prigionieri detenuti negli anni del nazi-fascismo nei campi. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista. A Norimberga vennero poi processati i membri delle SS e tutti i vertici del Terzo Reich che vennero condannati a morte come Hermann Göring o Heinrich Himmler (in foto a destra), il numero due della Germania Nazista che vigliaccamente tradì Adolf Hitler cercando di trattare la resa con gli alleati. heinrich himmler 960Oggi tv, giornali, università, scuole commemorano l’orrore del genocidio ebraico con immagini, approfondimenti, trasmissioni e film (leggendario “La vita è bella” di Roberto Benigni). Iniziative sacrosante, dovute, imprescindibili. Bisogna ricordare per evitare che quanto accaduto negli anni del nazifascismo si ripeta in futuro. Come bisogna sottolineare, certamente, l’eccezionalità dell’Olocausto che vede per la prima volta un genocidio teorizzato, normato ed attuato da uno Stato sovrano. Ma riteniamo sia giusto, soprattutto oggi che la sensibilità dell’opinione pubblica sembra essersi finalmente accentuata su varie tematiche sociali, approfittare comunque, nella commemorazione di questa giornata, per ricordare anche gli altri genocidi o pulizie etniche avvenute nel corso del secolo scorso, e in questo, passati però in sordina dai media e dalla politica. E’ lo stesso discorso fatto, proprio di recente, dall’attore e intellettuale ebreo Moni Ovadia che per la Giornata della Memoria ha organizzato a Ferrara una serie di eventi dedicati alla memoria della Shoah, ma anche al genocidio degli tutsi in Rwanda, alla questione curda e allo sterminio dei rom e sinti. Ovadia, è stato duramente contestato dalla Comunità Ebraica di Ferrara che ha affermato come “il rischio è che con il Festival si abbia un effetto di banalizzazione, diluizione e di spettacolarizzazione di una tragedia unica per finalità, dimensione sia numerica che territoriale, modalità e scientifica ferocia”. Ovadia, ha risposto giustamente che non esiste una “gerarchia delle vittime, degli stermini e del dolore”, e che “ogni genocidio è una tragedia a sé con le proprie caratteristiche, ma dobbiamo fare uno sforzo per evitare il ‘celebrativismo’”. L’osservazione è esatta. E in effetti per cogliere nel segno il significato di questa giornata occorre far memoria anche degli altri genocidi che hanno macchiato il ‘900. A partire dai nativi dell’America Del Nord che in quattro secoli fecero dai 55 ai 100 milioni di morti. Passando poi per il genocidio degli armeni, “Il popolo muto”, perseguitati ai tempi dell’Impero Ottomano a inizio secolo scorso con 1,5 milioni di morti. O dal genocidio dell’Anfal contro i curdi in Iraq con 182 mila morti. O quello contro i quasi 4 milioni di ucraini morti di fame per colpa della collettivizzazione agraria ordinata da Stalin.

Fino ad arrivare ai tempi odierni con il silenzioso genocidio degli uiguri in Cina. E poi ancora i massacri di centinaia di migliaia di uomini, donne, bambini, anziani che si contano in India, Cambogia, Giappone, Indonesia, Madagascar, Congo, Guatemala, Timor-Est e tanti altri, che sono stati precedenti, contemporanei e successivi alla Shoah ebraica. Ognuno con la propria storia. Ognuno con la propria tragicità, tutta da commemorare. Ma tutti da ricordare. Perché con il passato bisogna saper fare i conti come ha saputo fare la Germania che ha riconosciuto i propri errori ed ha eretto monumenti in memoria di ebrei, rom e antifascisti. Lo stesso non si può dire dell’Italia dove la politica prima indossa la Kippah e poi ammicca al fascista (leghisti e forzisti docet). Non solo. L’Italia è uno dei Paesi Nato tra i maggiori alleati di Israele, altro Paese sporco di sangue. Ed è qui che vorremmo sviluppare la nostra seconda osservazione su questa giornata fondamentale, concentrandoci su Israele. Quando si parla di Giornata della Memoria chi ha a cuore i diritti umani non può distogliere lo sguardo rispetto a quanto sta avvenendo dall’altra parte del Mediterraneo: una popolazione indigena, i palestinesi, schiacciati da oltre 70 anni da una colonizzazione militare fascista figlia di un’ideologia politica coloniale, il sionismo. In Palestina, lo abbiamo detto più volte, è in corso un genocidio, o se vogliamo utilizzare le parole di uno dei maggiori intellettuali israeliani, Ilan Pappè, una “pulizia etnica”. Sicuramente non possiamo paragonare quanto accaduto a 6 milioni di ebrei in Europa con quello che tutt’ora avviene ai palestinesi, anche se gli ebrei tedeschi Anna Harendt (autrice de “La banalità del male” sul processo alle “SS” a Gerusalemme) e Albert Einstein avevano azzardato similitudini pesantissime al tempo dei massacri dell’Haganah (l’esercito israeliano negli anni ’40) nei villaggi palestinesi. Ma non possiamo nemmeno far finta di nulla quando celebriamo questa giornata che vuole ricordare soprattutto i sei milioni di ebrei internati nei campi di sterminio. Oggi lo Stato Ebraico - come si è autodefinito Israele nel 2018 quale “Stato-Nazione” degli ebrei con una legge di stampo segregazionista e nazionalista che esclude di fatto, come il Sudafrica pre Mandela, una fetta di popolazione, in questo caso il 20% di arabi - sta commettendo crimini che certamente non renderebbero orgogliosi i caduti nei campi di Birkenau o di Belzec. Si tratta di crimini che strizzano l’occhio a certe politiche o ideologie proprie del fascismo di metà secolo scorso, come denunciavano Harendt e Einstein in una lettera inviata al New York Times nel 1948 (anno di nascita di Israele) contro Menachem Begin, comandante dell’Irgun e futuro primo ministro israeliano.
Le confessioni pubbliche del sig. Begin non sono utili per capire il suo vero carattere”, scrivevano Harendt e Einstein a seguito di una visita di Begin negli Stati Uniti in quell’anno. “Oggi parla di libertà, democrazia e anti-imperialismo, mentre fino ad ora ha apertamente predicato la dottrina dello stato Fascista”. E ancora. “Fra i fenomeni più preoccupanti dei nostri tempi emerge quello relativo alla fondazione, nel nuovo stato di Israele, del Partito della Libertà (Tnuat Haherut), un partito politico che nella organizzazione (di cui Begin era leader, ndr), nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti Nazista e Fascista”. Le parole dei due intellettuali non sono poi così anacronistiche. La vena fascista ha alimentato Israele dalla sua nascita e ha continuato a farlo ancora oggi con l’attuale governo di Naftali Bennett e prima di lui quello di Benjamin Netanyahu. E’ evidente che i figli e i nipoti delle vittime del nazifascismo hanno dimenticato ciò che venne scritto in quegli anni bui in una delle porte del campo di Birkenau: “Chi dimentica la storia è condannato a riviverla”. Il senso è tutto racchiuso in queste poche parole. E’ la memoria a rendere liberi. E’ la memoria l’unica in grado di spezzare, sul nascere, le catene del revisionismo, dell’oscurantismo, della violenza in tutte le sue forme. Ed è la memoria a salvarci dall’oblio. Per questo dovremmo celebrare il 27 gennaio.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani

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