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Il 25 gennaio la Corte Costituzionale ha giudicato come incostituzionale l'esame preventivo della corrispondenza tra i detenuti sottoposti al regime di 41 bis e i loro legali.
Secondo la Corte la censura sulla corrispondenza del detenuto con il proprio difensore non è idone a garantire il diritto di comunicare (nell'ambito del proprio diritto alla difesa) in modo riservato con il proprio avvocato e ne è titolare pure chi è in carcere, anche per potersi tutelare da eventuali abusi delle autorità penitenziarie, sottolinea la sentenza redatta dal giudice Francesco Viganò. Ma nel caso in questione si tratta di detenuti mafiosi ritenuti capaci ancora di comandare, ancora legati alle mafie, tanto da essere sottoposti appunto al 41 bis. Tuttavia la Corte ha ritenuto che il controllo della corrispondenza con il difensore non sia idoneo. Sulla questione si erano già espressi il consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita durante la diretta Rai Radio 1, "TRA POCO in EDICOLA", condotta da Stefano Mensurati.
Il magistrato,  sentito dal ‘Fatto Quotidiano’, ha voluto ribadire di “non aver trovato nulla di nuovo” in questa decisone poiché “era noto a tutti e da tempo che la corrispondenza con i difensori, anche di 41-bis, non deve essere sottoposta a controllo” tuttavia, ha sottolineato il magistrato “temo che il caso concreto abbia poco a che fare con il controllo della corrispondenza e che il nodo centrale non sia stato affrontato dalla Corte”.
Nello specifico, ha spiegato Ardita, risulta “che un detenuto del carcere di Opera ha consegnato agli agenti una bozza di telegramma, da cui emergeva con evidenza un testo suscettibile di contenere un messaggio pericoloso”. Tale testo, ha spiegato Ardita, è il fulcro del nodo indicato: la Consulta infatti, secondo il magistrato, non sembra aver voluto chiarire la differenza “tra controllo di una corrispondenza chiusa e trattenimento di una corrispondenza aperta e pericolosa”. “In questo secondo caso - ha detto - andavano a mio avviso messi in raffronto i due beni che venivano in conflitto: da un lato il pericolo concreto per i cittadini che parta dal carcere un ordine di commettere un delitto, dall’altro il diritto di comunicare con il difensore, che non tollera controlli, ma non può spingersi fino a impedire il trattenimento di un testo da cui risulti già evidente che possa derivare un danno”. “Ribadisco - ha precisato Ardita - che qui non si tratta del problema del controllo delle comunicazioni. Una volta che è palese la pericolosità di un testo aperto, sarei molto cauto nel dire che non si possa trattenere solo perché è diretto a un difensore”.
Il magistrato ha poi specificato che nel caso in questione non “’è nessuna offesa né al ruolo dei difensori né al diritto di difesa. Ma così ragionando, si potrebbe arrivare alla conclusione che la matricola avrebbe dovuto inoltrare il telegramma anche se ci fosse stato un messaggio con l’ordine di commettere un omicidio”.
Nell’intervista Ardita ha anche ricordato che “il ruolo degli avvocati vada rispettato e tutelato” ma “ciò non esclude la pervasività delle organizzazioni criminali mafiose nel tentativo di mandare messaggi all’esterno. Ricordo la lettera che un avvocato lesse a nome dei suoi assistiti, capi del clan dei Casalesi e imputati nel processo, che con intento intimidatorio accusavano la Corte di lasciarsi influenzare dalle opinioni di Roberto Saviano e di Raffaele Cantone”.
Durante la trasmissione di Rai Radio 1, "TRA POCO in EDICOLA" Ardita ha detto che la situazione che si sta vivendo nel nostro Paese presenta una sorta di “attenzione demolitoria” nei confronti dei fattori di prevenzione antimafia “che finisce per dare al carcere” una “minore capacità di interrompere questi flussi di comunicazione” anche nei confronti “dei soggetti (non di tutti ma di quelli che sono ai vertici dell’organizzazione mafiosa) di continuare a commettere delitti o a commissionare delitti. Il carcere prima che ci fosse il 41 bis purtroppo era un luogo dal quale si continuava a comunicare sia all’interno che all’esterno perché la dimensione tipicamente gerarchica propria delle associazioni mafiose comporta proprio questo: la capacità di alcuni di continuare a governare anche in condizioni di detenzione la realtà criminale”.
Infine il magistrato ha detto che la situazione “revisionista” nei confronti della legislazione antimafia (ergastolo ostativo e 41 bis) è dato anche dalla “distanza dai fatti gravi delle stragi”. Questo ci porta ad “essere meno attenti” rispetto al fenomeno della realtà criminale mafiosa, “questo è il dato che purtroppo registro”, ha concluso Ardita.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

Foto © Imagoeconomica

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