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Il consigliere togato intervistato a Rai Radio 1

E’ arrivata ieri la notizia che la Corte Costituzionale ha giudicato come incostituzionale l'esame preventivo della corrispondenza tra i detenuti sottoposti al regime di 41 bis e i loro legali.

La decisone della Consulta, passata in sordina, è stata poi ripresa dal consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita durante la trasmissione di Rai Radio 1, "TRA POCO in EDICOLA", condotta da Stefano Mensurati. Il magistrato ha ripercorso quelli che sono stati i fatti che hanno poi portato alla decisione della Consulta: “Un detenuto sottoposto a regime di 41 bis - quindi particolarmente pericoloso e al vertice di una associazione mafiosa - ha inviato un telegramma al proprio legale con il quale comunicava alcune frasi del tutto slegate da un contesto logico. Per questa ragione si riteneva potessero contenere dei messaggi. Il tribunale ha convalidato il fermo di questo telegramma e sostanzialmente ha posto la censura sulla comunicazione al difensore. E’ stato fatto ricorso in Cassazione” la quale “ha ritenuto di investire la Corte Costituzionale, perché esiste un principio generale riconosciuto nell’ordinamento giuridico italiano ma anche alla Corte Europea che consente a ciascun detenuto (anche se sottoposto al 41 bis) di non avere alcuna forma di controllo nella cognizione con i difensori”.

Ardita ha poi spiegato che “questo ha sancito un orientamento che era già per la verità abbastanza consolidato nel passato e di fatto non c’è nulla di nuovo in questa sentenza”. Tuttavia un fatto rimane: sta prendendo sempre più piede l’idea che lo Stato debba allentare la presa nei riguardi della legislazione antimafia, soprattutto sulle norme che riguardano il 41 bis e l’ergastolo ostativo.


tra pco edic rai


Dal punto di vista sostanziale - ha precisato Ardita - i colloqui con gli avvocati “sono l’unico canale di comunicazione con l’esterno che non è sottoposto a nessuna verifica, questo diciamo è il dato certo, il dato storico. Il che naturalmente com’è stato ribadito nella sentenza non può significare di assumere un atteggiamento di sospetto verso gli avvocati. Tanto è vero che questa pronuncia in effetti ha impedito questo controllo. Ma il dato è un dato concreto”, cioè che “c’è uno spazio di comunicazione del tutto franco, una zona franca, che è proprio quella della comunicazione con i difensori”. Il magistrato ha poi sottolineo che “vale la pena di ribadire che si tratta di misure di prevenzione (quelle del 41 bis ndr) che si adottano nei confronti di pochissime persone, cioè quelle che sono in condizione dal carcere di comandare” e di far “commettere anche omicidi" "anche reati molto gravi. Quindi non è una misura che vale per tutti quanti i detenuti”.

Secondo Ardita la situazione che si sta vivendo nel nostro Paese presenta una sorta di “attenzione demolitoria” nei confronti dei fattori di prevenzione antimafia “che finisce per dare al carcere” una “minore capacità di interrompere questi flussi di comunicazione” anche nei confronti “dei soggetti (non di tutti ma di quelli che sono ai vertici dell’organizzazione mafiosa) di continuare a commettere delitti o a commissionare delitti. Il carcere prima che ci fosse il 41 bis purtroppo era un luogo dal quale si continuava a comunicare sia all’interno che all’esterno perché la dimensione tipicamente gerarchica propria delle associazioni mafiose comporta proprio questo: la capacita di alcuni di continuare a governare anche in condizioni di detenzione la realtà criminale”.

Infine il magistrato ha detto che la situazione “revisionista” nei confronti della legislazione antimafia (ergastolo ostativo e 41 bis) è dato anche dalla “distanza dai fatti gravi delle stragi”. Questo ci porta ad “essere meno attenti” rispetto al fenomeno della realtà criminale mafiosa, “questo è il dato che purtroppo registro”, ha concluso Ardita.

Foto di copertina © Imagoeconomica

Ascolta la puntata: raiplaysound.it

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