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Piercamillo Davigo, attraverso i suoi legali, gli avvocati Davide Steccanella e Francesco Borasi, ha deposito il ricorso alla Corte d'Appello di Brescia contro la condanna del Tribunale bresciano, del 20 giugno scorso, ad un anno e 3 mesi mesi (pena sospesa) per rivelazione di segreto d'ufficio in merito agli ormai noti verbali di Piero Amara su una presunta Loggia Ungheria. Verbali che in pieno lockdown il pm milanese Paolo Storari, assolto in via definitiva, gli aveva consegnato per autotutelarsi, a suo dire, da un freno messo alle indagini dai vertici del suo ufficio. L'atto di impugnazione è stato depositato dai difensori giovedì scorso, anche prima della scadenza dei termini.
Ora la Corte bresciana dovrà fissare la data del processo d'appello, nel quale Davigo e la sua difesa punteranno a ribaltare il verdetto di primo grado.
"Ho letto la sentenza di condanna - ha spiegato l'avvocato Steccanella - e l'ho trovata profondamente sbagliata e per questo meritevole di essere impugnata nella convinzione che la Corte d'Appello assolverà il dottor Davigo, perché a mio parere non ha commesso alcun reato". Le "modalità quasi carbonare con cui" i verbali in formato word sono usciti "dal perimetro investigativo del dottor Storari", aveva scritto nelle motivazioni il collegio presieduto da Roberto Spanò, tramite una chiavetta Usb consegnata all'allora componente del Consiglio superiore della magistratura Davigo, nella sua "abitazione privata (...) e le precauzioni" da questi "adottate in occasione del disvelamento ai consiglieri, avvenuto nel cortile del Csm lasciando prudenzialmente i telefonini negli uffici, appaiono sintomatiche dello smarrimento di una postura istituzionale".
Non solo, nelle motivazioni della sentenza era stato scritto anche che l’ex togato del Csm, avrebbe "utilizzato il tema dell’asserita appartenenza massonica per fare terra bruciata intorno" al magistrato Sebastiano Ardita (difeso dall’avvocato Fabio Repici) polarizzando "chirurgicamente l’attenzione" e disseminando "tossine denigratorie nella stretta cerchia di frequentazioni dell’ex amico, con ripercussioni anche sul corretto funzionamento del CSM".
Nella sentenza tuttavia i giudici non sono stati in grado di definire se questa manovra sia stata posta in essere "in ragione di personalismi o di intenti ritorsivi dovuti a dissidi insorti nel passato con l’ex amico", cioè Ardita, di cui le informazioni diffuse fossero inquietanti, palesemente calunniose e false.
L'ex pm aveva, secondo Ardita, "perfettamente compreso che le informazioni circa la sua appartenenza massonica erano false, poiché 'sgangherate' rispetto a vicende storiche note e facilmente verificabili, quali i suoi rapporti fortemente conflittuali con il dott. Tinebra, pure citato come appartenente alla 'Loggia Ungheria'. Nelle intercettazioni ambientali registrate nell’ambito della 'vicenda Champagne', trattata dal dott. Davigo in sede disciplinare, egli inoltre era stato definito come un 'talebano' da tenere sotto controllo".

Foto © Imagoeconomica

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