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Quando il Paese era in ginocchio a causa della pandemia, la mafia dialogava con lo Stato. È quanto riporta il gip Walter Turturici nell'ordinanza di custodia cautelare dell'operazione 'Villaggio di famiglia', che nei giorni scorsi ha azzerato la famiglia mafiosa del Villaggio Santa Rosalia. Durante il lockdown i detenuti del carcere Pagliarelli di Palermo "intrapresero iniziative volte ad intercedere con la direzione dell’istituto di pena per avanzare alcune istanze volte ad implementare la lista dei generi vittuari da poter acquistare e, dunque, ridurre le limitazioni causate dalle restrizioni imposte a seguito dell’emergenza Covid". Una sorta di "trattativa" Stato-mafia, come ha titolato questa mattina Salvo Palazzolo su Repubblica.
Le rivendicazioni "in nome e per conto di tutta la popolazione carceraria sono state assunte dai detenuti dell’area cosiddetta 'Alta Sicurezza' - si legge -. In questo contesto emergeva il ruolo di responsabilità di Andrea Ferrante all’interno del carcere, quale imprescindibile punto di riferimento per tutti gli altri esponenti mafiosi detenuti".
Ed è proprio su Ferrante che ruota parte dell'indagine della procura sul clan del Villaggio Santa Rosalia. Grazie alle video intercettazioni i finanzieri del Gico hanno riscontrato che il Ferrante intratteneva abituali incontri e dialogo con un altro mafioso di spicco del Villaggio: Giovanni Cancemi. I loro ordini venivano impartiti grazie ad un gruppo di detenuti che riferivano notizie e distribuivano pizzini, contenuti dentro le bottigliette di caffè. Ma se la parola "trattativa" potrebbe apparentemente sembrare esagerata, leggendo le carte il dubbio viene meno.
"Il 13 dicembre 2020 – scrive Turturici - veniva richiesto ed ottenuto un incontro con la direzione da parte di una delegazione dei detenuti in regime di Alta Sicurezza così composta: Michele Madonia, Salvatore Sansone, Agostino D’Alterio, Francesco Pitarresi, Salvatore Ariolo, Cristian Cinà, Giuseppe Vassallo". Si trattava dunque di un incontro con figure apicali di Cosa nostra, nel corso del quale "i detenuti avanzavano alcune richieste, tra cui l’ampliamento di generi vittuari da acquistare per tramite del cosiddetto sopravvitto", si legge nel documento.
Come da "prassi", nel corso della "trattativa" i detenuti non hanno perso occasione per farsi sentire tramite manifestazioni e proteste. Un modo per rafforzare le proprie istanze.  Andrea Ferrante aveva organizzato una protesta con la battitura delle inferriate. Le direttive "erano state impartite anche ad altri esponenti mafiosi di rilievo, di altri mandamenti, tra i quali Giuseppe Di Cara, uomo d’onore di spicco del mandamento di Porta Nuova", continua il documento. Dalle indagini emerge anche la posizione di riverenza di cui godeva il Ferrante, oltre al fatto che i boss continuavano a gestire i loro affari anche dal carcere. Per esempio, come sottolinea Palazzolo, Salvino Sorrentino, detenuto nel carcere romano di Rebibbia, interloquiva con i complici in libertà utilizzando le videoconferenze con la famiglia varate durante la stagione del Covid per organizzare dei veri e propri summit.

Foto © Imagoeconomica

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