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Proprio mentre il Parlamento siciliano si appresta ad approvare - speriamo senza stravolgimenti - con la finanziaria regionale l’art. 104 “Interventi per le imprese soggette alle applicazioni di misure di prevenzione patrimoniale”, emerge in maniera sempre più pressante l’urgenza di fare chiarezza in un sistema che, alla luce del divario quantitativo tra beni sequestrati e relative assegnazioni, risulta pieno, quantomeno, di contraddizioni.

I dati ufficiali forniti da Anbsc (Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati), aggiornati al novembre 2021, ci raccontano che su 38.101 immobili confiscati o sequestrati, su tutto il territorio nazionale, ben 14.315 (pari a circa il 37,5%) si trovano in Sicilia: di questi 7.126 sono già “destinati”, sia per finalità istituzionali sia per finalità sociali, mentre altri 7.189 sono ancora “in gestione” dell’Agenzia stessa. Ma il vero punto di caduta è questo: delle 4.686 aziende sottratte alla criminalità in tutta la Penisola, 1.449 (circa il 30%) hanno sede nella nostra Isola, ma solo 543 sono già “destinate”. E’ chiaro che,leggendo oltre i numeri, si ha l’impressione di un vero e proprio inceppamento nel meccanismo - più o meno voluto - ma che occorre superare.

Occorre sempre tener presente che i beni e le aziende confiscate alla criminalità organizzata costituiscono un importante patrimonio che deve essere restituito alla collettività e la restituzione significa tutelare i posti di lavoro, significa consentire al territorio e alla cittadinanza di ritornare in possesso di quello che gli era stato sottratto; l’impresa controllata dalla criminalità agisce alterando le regole del mercato anche attraverso la corruzione e altri meccanismi intimidatori e coercitivi.

Il nodo più delicato è sicuramente quello legato al settore delle costruzioni a cui la criminalità organizzata, anche in fase di sequestro non rinuncia, e che anzi, in qualche modo prova a mettere a sistema. Quello delle costruzioni è un sistema, appunto, particolarmente permeabile alle infiltrazioni criminali soprattutto per ciò che riguarda i subappalti e le forniture e il continuo tentativo di stravolgere il codice degli appalti rischia di consegnare l’intera filiera ed il tessuto produttivo e sociale alle mafie.

Ma allora quale potrebbe essere una possibile soluzione?

Una strada ce la indica la FILLEA Cgil Sicilia, quando suggerisce di utilizzare le aziende che erano dei mafiosi per mettere in campo un pool di fornitori dotato di un proprio coordinamento: in questo modo si metterebbero automaticamente fuori gioco tutti i tentativi da parte della criminalità di infilarsi nei subappalti e delle forniture. L’idea, semplice quanto rivoluzionaria, dunque è quella di contrastare la illegalità con gli stessi strumenti che sono stati tolti ai mafiosi. Avere aziende sane significa lavoro legale e lavoratori ben retribuiti. La norma che si appresta ad essere introdotta riguarda i crediti Irfis per le imprese ma occorre sicuramente proseguire a livello normativo con tutta una serie di azioni volte alla tutela della occupazione per esempio con una linea di credito rivolta alle aziende che possa garantire i pagamenti dei lavoratori delle aziende stesse.

Sappiamo come i fenomeni criminali e segnatamente quelli di criminalità organizzata, come tutte le cose umane, mutano nel tempo adeguandosi alle esigenze cui far fronte di volta in volta: anche le strategie da adottare per il contrasto alle stesse devono essere continuamente elaborate e messe in campo. I beni sequestrati, come già detto, devono tornare alla collettività e farlo in maniera piena, trasparente e veloce e questo significa mandare segnali di civiltà e di legalità vera, fattiva, e la approvazione, senza indugi e modifiche, dell’art. 104 nella finanziaria siciliana potrebbe dare un grande contributo in tal senso.

Foto © Imagoeconomica

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