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Servizi segreti, mafie, politica e poteri occulti contro il progetto rivoluzionario italiano

9 maggio 1978. Data incancellabile nella storia della nostra Repubblica. Il corpo del Presidente del Consiglio Aldo Moro venne trovato in via Caetani, nel centro della Capitale, al termine di 55 giorni di prigionia.
L'uomo simbolo dell'unione politica nazionale venne trascinato in trame sinistre dove ancora oggi, malgrado le numerose inchieste condotte a livello giudiziario e parlamentare, permangono incoerenze e zone d’ombra, che non trovano piena risposta nella versione riferita dai brigatisti che parteciparono alla strage di via Fani e alle successive fasi del sequestro.
Non solo. Aldo Moro durante la sua carriera politica venne avvicinato anche da personaggi come l'allora segretario di Stato Americano Henry Kissinger, il quale gli disse durante un incontro formale, "Presidente lei la deve smettere di seguire le sue linee politiche o la pagherà cara. Questo è un avvertimento ufficiale".
Parole profetiche.
Nella stessa opinione pubblica infatti è diffusa la convinzione che le conoscenze sinora acquisite in merito alle responsabilità e alla dinamica dei fatti siano, quanto meno, incomplete e non definitive.
Per questo motivo, il 9 maggio, si deve ricordare il presidente Moro e continuare a insistere su quelle zone d'ombra a tutt'oggi presenti nella ricostruzione dell'eccidio.

La 'Ndrangheta in via Fani
Nel resoconto stenografico numero 150 della Commissione Moro - seduta giovedì 28 settembre 2017 - sono stati sentiti Federico Cafiero De Raho allora procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria e il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, in merito ad un eventuale ruolo della ’Ndrangheta nella vicenda del sequestro Moro.
Lombardo ha fatto riferimenti ad un filone di dichiarazione del noto collaboratore di giustizia Nino Fiume, "perno delle ricostruzioni processuali che riguardano la cosca De Stefano, perché è l’unico collaboratore che ha avuto accesso alle notizie riservatissime della famiglia", e per notizie riservate si intende anche la posizione dei depositi di armi. Il collaboratore, rivolgendosi a Lombardo durante un'interrogatorio, disse che "queste armi in particolare mi furono raccomandate da Orazio De Stefano, che all’epoca era latitante (febbraio 2002) e che era il vertice della famiglia De Stefano accanto al nipote Giuseppe De Stefano, il quale mi disse più volte: 'Nino, guarda, tutte le armi nostre le devi custodire con particolare cura, ma stai attento ai due fucili mitragliatori tipo Skorpion perché sono simili a quelle usate per l’omicidio Moro'". Il procuratore aggiunto durante la seduta ha fatto notare, in virtù della sua conoscenza di questo particolare collaboratore, che Fiume "non parla mai a vanvera" e che la parola "simile" l'ha usata solo per proteggersi da una eventuale smentita che porterebbe ad una caduta della sua credibilità.
Ma perché viene valorizzato il fatto che Fiume parla di questo collegamento tra le mitragliette tipo Skorpion e l’omicidio Moro?
"Perché - ha spiegato il magistrato - Fiume conosce l’estrema vicinanza dei De Stefano a determinati ambienti non solo politici e continua a riferire il fatto che i De Stefano godevano di protezioni superiori" e che "queste erano garantite dai loro legami con appartenenti a servizi di sicurezza".
La famiglia De Stefano aveva rapporti anche con i Piromalli, i quali sono collegati con la famiglia Nirta "La Maggiore" (da non confondere con gli Strangio n.d.r) i cui capi storici sono Giuseppe Nirta, Antonio Nirta e Ciccio Nirta.
La commissione aveva già approfondito la vicenda del noto ’Ndranghetista Antonio Nirta, raccogliendo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Saverio Morabito (le quali devono ancora trovare riscontri a livello processuale) che aveva riferito, come si legge sul documento, che il Nirta "ebbe contatti con la Polizia o con i servizi segreti e – secondo quanto Morabito apprese da Domenico Papalia e da Paolo Sergi – avrebbe partecipato al sequestro Moro. Morabito, tuttavia, non ha mai chiarito se Nirta fosse tra quelli che avevano operato materialmente in via Fani o tra coloro che avevano sparato".
Oltretutto, il Nirta venne indicato da diversi pentiti come soggetto in stretti rapporti con l'allora colonnello dei carabinieri Delfino, già ufficiale del servizio segreto militare e protagonista di molti misteri italiani a partire dal 'sequestro Soffiantini'.
E poi, anche i carabinieri del Ris hanno riconosciuto, analizzando una fotografia della "scena del crimine" di Via Fani, il boss della 'Ndrangheta Antonio Nirta. Dunque perché si trovava lì?
Che ruolo ha giocato la criminalità organizzata?

Parla Fida Moro: "L'assassinio di mio padre parte da Yalta"
Tutta la storia che avete raccontato parte da Yalta. Non solo quella di tutte le stragi in Italia, ma anche di tutte quelle internazionali; non c’è un caso Moro o Ustica o Portella della Ginestra. C’è un disegno di un governo del mondo che vuole ridurci in schiavitù, anche dal punto di vista cerebrale. Per questo motivo è quasi impossibile controllare e arrivare a documenti”. È con queste parole che il 7 maggio del 2019, la figlia del presidente Aldo Moro è intervenuta durante la presentazione del libro “La Bestia”, scritto dall’ex magistrato e sopravvissuto alla strage di Pizzolungo Carlo Palermo, il quale ha poi parlato di due “filoni” o strategie geopolitiche. Il primo definito “atlantico” che aveva “l’obbiettivo di contrastare l’avanzata del comunismo fino all’abbattimento del Muro di Berlino” tramite operazioni segrete come 'Gladio' e 'Stay Behind'. Il secondo, invece, detto 'filo-arabo' condotto da Aldo Moro, Bettino Craxi e Giulio Andreotti, "in cui l’Italia ha cercato di portare avanti un ruolo autonomo nel Mediterraneo".

Senatore Flamigni: "Moretti capo delle BR manovrato dall'esterno"
Durante la seduta del 2 dicembre 2014 la Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro ha ascoltato in audizione il senatore Sergio Flamigni, componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia istituita nell’VIII legislatura.
Durante la seduta il senatore ha ricostruito diffusamente i motivi della contrarietà manifestata alcuni anni prima del sequestro dal Segretario di Stato USA, Henry Kissinger, verso l’idea di Moro di "creare un rapporto con l’opposizione comunista e di fronte al diniego di basi militari in Italia per aiutare Israele durante la guerra del Kippur". Inoltre il senatore ha poi elencato una serie di circostanze che hanno preceduto e accompagnato il rapimento di Moro: lo scioglimento del Nucleo antiterrorismo dei Carabinieri guidato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; gli arresti di Curcio e Franceschini, con conseguente cambio della direzione delle BR, che venne assunta successivamente da Mario Moretti, il quale secondo il senatore fu "un personaggio chiave che, a differenza del gruppo storico, riuscì ripetutamente a sfuggire all’arresto" e che a suo giudizio "era protetto dai servizi segreti".
Oltre a questi episodi, certamente uno dei più gravi fu la mancata assegnazione di un’autovettura blindata a Moro e la presenza, in via Fani, del colonnello Camillo Guglielmi (che suo dire si trovava in via Fani quel giorno perché invitato a pranzo da un collega) e di autovetture intestate a società riconducibili ai servizi segreti.
Flamigni, in conclusione, ha individuato, come elemento di continuità tra la fase del terrorismo della strategia della tensione e quella del terrorismo del caso Moro, l’obiettivo politico di impedire al PCI di accedere al governo del Paese, nonché la "partecipazione di settori dei servizi segreti italiani ed esteri".

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