di AMDuemila
Trentacinque anni sono passati da quando Paolo Giaccone, uno dei più grandi esperti di medicina legale di Palermo, è stato ucciso dalla mafia. Una storia di coraggio, la sua, in un tempo in cui dire “no” alla criminalità organizzata voleva dire firmare la propria condanna a morte. Negli anni settanta aveva fondato, a Palermo, insieme ad altri professionisti, l’AVIS (Associazione Volontari Italiani Sangue). Divideva il suo impegno tra l'istituto di Medicina legale che dirigeva e le consulenze per il palazzo di giustizia. Aveva ricevuto l'incarico di esaminare un'impronta digitale lasciata dai killer che nel dicembre 1981 avevano scatenato una sparatoria tra le vie di Bagheria con quattro morti come risultato. L'impronta era di un killer importante della cosca di Corso dei Mille ed era l'unica prova che poteva incastrare gli assassini. Quell’impronta, appartenente a Giuseppe Marchese, nipote del boss di Corso dei Mille Filippo Marchese, rappresentava l’unica prova per incastrare gli autori del delitto. Da quel momento Giaccone iniziò a ricevere, da parte dell’avvocato di Marchese, numerose pressioni e minacce per indurlo a manomettere le conclusioni della perizia dattiloscopia. Ma il medico si oppose sempre ai continui inviti e la perizia consentì di condannare il killer al carcere a vita. A trentacinque anni di distanza lo vogliamo ricordare pubblicando la puntata della rubrica “L’Altrastoria”, a lui dedicata.
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Trentacinque anni dopo ricordiamo Giaccone, medico coraggioso
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