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“Prevalga l’intelligenza dei cittadini onesti, allenata da studio, confronto e partecipazione attiva ai momenti della vita pubblica. A partire dal voto”

Non c’è solo indifferenza, ma qualcosa di diverso e più preoccupante. Oggi c’è il rischio che il crimine organizzato diventi crimine normalizzato nella coscienza di molti”. A dirlo è il fondatore di Libera e Gruppo Abele don Luigi Ciotti, intervistato da La Repubblica in occasione della commemorazione della strage di Pizzolungo che si è tenuta martedì. Il sacerdote si è espresso su due episodi avvenuti a Palermo nelle ultime settimane, di cui hanno parlato le cronache. Il primo è il caso del no degli studenti di un liceo di Partinico all’intitolazione del loro istituto a Peppino Impastato, il secondo è il rifiuto di un medico, proprietario di un magazzino all’Arenella, di apporre la targa che Libera vorrebbe mettere in ricordo di Lia Pipitone, nel luogo dove venne assassinata nel 1983.
Nel caso del liceo di Partinico, è strano che dei giovani che studiano non si siano resi conto che se Peppino Impastato è stato ed è divisivo (questa una delle ragioni per cui era stata rigettata la proposta di intitolazione, ndr) lo è nel modo più sano e funzionale per la democrazia. Cioè nel fare una chiara divisione, una distinzione netta, fra onestà e disonestà, diritti e privilegi, idee forti contro uso della forza, difesa del bene comune contro l’accaparramento illecito delle risorse della comunità”, ha detto Don Ciotti. “A questi ragazzi e ragazze vorrei dire che è giusto pensare con la propria testa, continuare a farsi domande. Ma auguro anche il coraggio di darsi le risposte più difficili, meno scontate”. Mentre nel caso della targa per Lia Pipitone non affissa perché il proprietario del locale, che vorrebbe affittare, la considera un “danno economico” per il sacerdote “c’è da interrogarsi se sia una forma di tutela dei propri affari ciò che induce a rifiutare una targa in memoria, nel timore che questa possa creare dei malumori in alcuni, delle divisioni appunto”. “Tutto questo non è indifferenza, che pure da parte di molti purtroppo esiste”, ha riflettuto Don Ciotti. “È mettere davanti la propria comodità, la propria tranquillità, a quei valori democratici che spesso sono scomodi, perché richiedono impegno, schiettezza, disponibilità a sacrificare l’io per il noi”.
Questi episodi sono il segno di “un calo nella consapevolezza”, ha commentato il sacerdote. “Chi si occupa di lotta alle mafie, a partire dai magistrati e dalle forze di polizia, non ha certo abbassato la guardia. Così come i tanti gruppi, associazioni, insegnanti, amministratori, imprenditori, giornalisti che ogni giorno attraverso scelte concrete di impegno dicono ‘no’ all’illegalità e ‘sì’ alla democrazia, alla giustizia, ai diritti. Ma nella popolazione generale notiamo ormai da anni una pericolosa tendenza alla normalizzazione. Come se il fatto che le mafie non siano state finora sconfitte rendesse la loro presenza inevitabile, qualcosa con cui è necessario convivere, scendere a patti. Almeno finché non ci tocca personalmente. C’è il rischio che il crimine organizzato diventi crimine normalizzato nella coscienza di molti”.
Si tratta, secondo il fondatore di Libera, di “un rischio che non ci possiamo permettere, perché le mafie stanno anzi rialzando la testa e dimostrando di saper sfruttare al meglio le nuove tecnologie e i nuovi strumenti di controllo dei mercati. Inclusi ovviamente quelli legali, dai mercati agricoli all’alta finanza”.
Don Ciotti ha quindi risposto a una domanda su Lia Pipitone, che i magistrati, condannando i boss Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo, riconoscono quale vittima di mafia, diversamente dal ministero dell’Interno.
Non è possibile una discrepanza del genere fra organismi dello Stato”, ha esordito sul punto il presidente di Libera. “Se la magistratura, che ha approfondito la storia di Lia e la sua tragica morte, l’ha riconosciuta vittima innocente della criminalità organizzata, è importante che lo sia anche nelle altre sedi istituzionali. Vale per lei e per tutti, perché riconoscere significa evitare che queste persone siano ammazzate due volte, prima dalle armi e poi dalla dimenticanza generale. L’altra cosa fondamentale è tutelare chi è vivo”, ha aggiunto. “I famigliari delle vittime, che non sempre accedono facilmente alle misure previste dalla legge. E tutte quelle persone che attraverso scelte coraggiose contribuiscono a combattere le mafie: i testimoni di giustizia, gli imprenditori che denunciano, le sempre più numerose donne che decidono di abbandonare i contesti mafiosi di origine per salvare sé stesse e i loro figli da una vita di omertà, ricatti e violenze”.
Infine Don Ciotti si è espresso sugli strumenti odierni utili per il contrasto alle mafie.
Secondo il sacerdote sono gli stessi di sempre: “Contrasto all’illegalità, promozione della giustizia sociale, sviluppo di un sistema educativo che formi cittadini consapevoli e responsabili”. Perché, ha detto, “sono i cittadini che fanno le città, non viceversa. E la legalità mette radici in terre fertili di responsabilità. I principi restano, ma cambiano gli strumenti. Sono strumenti da aggiornare, di fronte a mafie sempre al passo coi tempi. Oggi vediamo strutture fortemente imprenditoriali, tecnologiche e transnazionali. Abilissime nello sfruttare ogni mezzo per allargare il campo dei propri affari. Non possiamo correre il rischio che l’intelligenza artificiale si trasformi, anche, in intelligenza criminale. Deve essere l’intelligenza dei cittadini onesti a prevalere: un’intelligenza allenata attraverso lo studio, il confronto, la partecipazione attiva a tutti momenti della vita pubblica. A partire dal voto”, ha concluso.

Foto © Imagoeconomica

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