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Il 27 marzo anteprima a Catanzaro per il film tratto dalla pièce teatrale scritta da Anna Vinci e prodotto da Rean Mazzone

Il tempo. La distanza. Il ritorno. La ricostruzione di una vita. Tutto questo c'è nel film che battezza Moni Ovadia nel ruolo di regista, “La Terra Senza” con Carlo Greco, Donatella Finocchiaro e Aurelio D’Amore.

Girato a Catanzaro il film è tratto dall'omonima pièce teatrale scritta dalla scrittrice Anna Vinci ed è stato prodotto dalla "Illa Palma", di Rean Mazzone, in collaborazione con Rai Cinema.

E ad arricchirlo, inoltre, ci sono anche le musiche originali di Mario Incudine.


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La storia è incentrata proprio sul ritorno a casa. Ludovico, il protagonista, costretto anni prima a fuggire lontano, torna nella sua terra. Qui affronta passato, presente e futuro in uno scontro con la sorella, che ha preso scelte di vita completamente diverse.

Il prossimo 27 marzo verrà presentato in anteprima nazionale nel cinema-teatro Comunale del capoluogo calabrese (inizio alle 19.30).

Un'opera che era stata iniziata circa due anni fa, con l'inizio delle riprese e che nel corso del tempo è riuscita a superare ogni ostacolo.

Dopo la Calabria il film sarà presentato al cinema Mexico di Milano l’8 aprile e al Quattro Fontane di Roma il 12 aprile prossimi.

Tre appuntamenti chiave prima di arrivare nelle sale. A seguire l'intervento di Anna Vinci ed un'intervista a Carlo Greco che in poche parole spiegano perché “La Terra Senza” è un film che merita di essere visto.


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L'attrice Donatella Finocchiaro


Nota d'Autrice

di Anna Vinci

La terra senza, è un titolo sospeso. Come affermava Joseph Conrad: “Si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore”. Se questo è valido per la letteratura, quanto di più ha senso per una rappresentazione teatrale e per quella cinematografica. Quando tra la parola e il pubblico, ci sono gesti, silenzi, in breve la fisicità dell’attore, la scenografia, le musiche e la “bacchetta” del regista che tutto ricompone in un unicum. Dopo il “senza” non ci sono precisazioni.

Il senza, di primo acchito, fa pensare a una mancanza. E certo ciò è innegabile. Tuttavia quando cominciai a scrivere quest’opera teatrale, sull’onda scaturita da racconti, ricordi e silenzi, proseguendo nella scrittura, non ha mai albergato in me il pensiero di una sconfitta, inteso quale percorso di vita interrotto nel suo compiersi.

La mancanza quasi mai riesce a colmarsi, quando è profonda radicata, come in questo caso sarebbe nella terra avita. Nel luogo dove si nasce e che plasma, oltre educazione, famiglia, insegnamenti, il nucleo centrale di un individuo. Ma c’è molto di più in una terra in cui si nasce e s’iniziano i primi passi. Il miracolo della vita, che per chi sa guardare, svela orizzonti immensi.


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La giornalista e scrittrice, Anna Vinci


In quelle sue parole pudiche e in quei tanti silenzi, sento l’eco dei versi di Fernando Pessoa: Campana del mio villaggio / dolente nell’imbrunire, / ogni rintocco tuo / dentro di me risuona. / Così lento è il tuo suonare, / triste come di vita, / che il tuo primo rintocco / già il secondo ricorda. / Per quanto tu sia vicina, /quando passo errabondo, / per me sei come un sogno, / mi suoni dentro lontana. / A ogni rintocco tuo, / vibrante nel cielo aperto, / è più remoto il passato, / più urgente la nostalgia.

Lo stupore nello scoprire i colori del cielo, l’odore della terra, dei fiori, degli orti, l’accento del luogo, il vento, che a Catanzaro è una presenza e c’è il mare, per Ludovico il “mio Ionio”, che porta in sé.   

Il perché, come in ogni innamoramento, non è dato sapere.

Forse il lento fluire delle onde, nelle giornate tiepide di primavera, quando ancora il sole del Sud non abbaglia. Una melodia, una ninna nanna della natura che lo riconduce all’accogliente ventre materno. Lui, bambino già affascinato da storie raccontate, proietta in quel mare antiche leggende, basta poco per varcarlo e andare altrove.


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Catanzaro è un luogo del Sud, che tende a intrappolare, terra di Calabria colma d’amore dove sono radicate arcaiche regole, alle quali si aggiungono e nelle quali prosperano affetti familiari e logiche da clan; il coraggio di chi si oppone alla 'Ndrangheta che dell’omertà, del rispetto delle gerarchie maschili, della sudditanza delle femmine, della violenza, ha fatto la propria legge. O con me, o contro; “contro”, l’ignavia, l’indifferenza permette la sopravvivenza, non la vita. 

La partenza è il modo per scrivere un’altra parola dopo “senza”, per non abbandonarla a se stessa in un mare in tumulto.

In tumulto è l’animo di Ludovico quando lascia la sua terra, i suoi affetti. La ricerca della verità ha prezzi da pagare. Lui non lo sa, ma forse ha già la parola da aggiungere. Non se lo dice, ci vorrebbe un’altra forza, ma lo rassicura lasciare Rosa, la “bambina adottata”, ancora una giovane donna quando lui parte, che resta anche dopo la morte dei genitori adottivi, in quella vecchia casa che custodisce con amore di nutrice, lei che madre diventerà nonostante tutto.


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Giacomo un imprevisto, nato in un atto estremo, che però a Rosa dà la forza della maternità che sente prepotente da subito germogliare in sé e diventa portatrice di speranza, di futuro. Forte Rosa che sa aspettare, non perché fragile e senza altro riparo ma perché lei, che da sempre nella casa adottiva ha sguardo attento, coglie oltre i silenzi, le irrequietezze del fratello.

Anche per questa impossibilità di scandagliare dentro se stessi senza pudori, si diventa scrittori. Si abbattono schermi inventando storie. Si vela per svelare. Non è un caso se si diventa uno scrittore amato, stimato per la libertà di pensiero nel raccontare la propria terra, tra bellezza e orrori.  Non è un caso se si continua a parlare di quella terra lontana che ci portiamo dentro: nella lontananza riesce a ritrovare la verità di se stesso.

Ha infine trovato Ludovico le sue vere parole? Sembrerebbe.

Le tiene per sé, con sé: “La terra senza… dimenticanza”. Morte e vita, paura e coraggio. La complessità dell’essere che trionfa, forse toglie a Ludovico la pesantezza dell’affanno. Affanno di un legame infranto che si potrebbe ricomporre.



L'intervista a Carlo Greco

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Perché bisognerebbe andare al cinema a vedere La Terra Senza?

Carlo Greco:
Perché, il passato torna, dovrei aggiungere ahimè, in questo caso. Partire, emigrare da una terra amata ma ostile, racconta la  realtà dei nostri tempi. Si emigra per cercare pace, tregua alla guerra, emigrano gli operai e gli intellettuali.  Nel caso di Ludovico, aggiungo, la parola Fuga. Lui intuisce fin da ragazzo che per essere sé stesso, e quindi realizzare il suo sogno di scrittore, deve allontanarsi. Allontanarsi per meglio vedere, per raccontare e raccontarsi, senza il velo delle abitudini, dei segreti di una terra bella ma gravata dal peso delle omertà. Ha bisogno di respirare. Cerca aria Ludovico,  come è sottolineato nel film visivamente, il suo è un dolore fisico che va oltre le parole, al di là degli sguardi, dei silenzi.      

Quanto c’è di Ludovico in Carlo?
C.G:
Tra interprete e personaggio c’è un plasmarsi a vicenda. E perché questo avvenga necessita avere la complicità del pubblico. Un gioco a tre. Ed ecco che prende vita il miracolo dell’arte. Se poi devo entrare più nel dettaglio voglio dire che entrambi si sono allontanati dalla propria terra, con dolore e speranza, con la voglia, ripeto di realizzare un sogno. Ma la scommessa di un interprete è soprattutto di avere chiare le differenze. Di farle proprie, di amalgamarle con i punti in comune. E una tra tante, è certo la chiusura, sono i silenzi del personaggio, Ludovico, che non appartengono all’interprete. Che va verso la vita e forse questo gli permette di andare verso l’altro. Guidato dall’emozione che entrambi provano nel ritornare. Che tutto racchiude. Il passato e il presente si azzerano e c’è uno spazio vergine, una pagina bianca tutta da scrivere.


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Dopo tanti anni, Ludovico è tornato. Ha riconosciuto la sua Terra? E la sua terra lo ha riconosciuta?
C.G:
Ah, sì posso rispondere con un sì convinto. A questo punto Carlo e Ludovico, come dicevo prima parlando di emozioni, sono in piena sintonia. Sono rapiti dagli odori dell’infanzia che ritornano. Nei vicoli il profumo degli orti oltre i cancelli. Nei vicoli stretti,  là dove i ragazzi giocavano in uno spazio, ritorna lo spazio, libero. E dove si riversano i sapori forti dei piatti tipici, che scandiscono il variare delle stagioni. Aggiungo un’altra esperienza che è raccontata con cura nel film. Il ritrovare non solo la casa di famiglia, che nel tempo non ha subito grandi mutamenti, ma gli oggetti. Ludovico accarezza, non solo con lo sguardo, gli oggetti, una lampada, il pianoforte, il calamaio, la vecchia macchina da scrivere. Non so chi guida chi. L’interprete o il personaggio. O il regista. A Catanzaro nella casa, e nei vicoli, mentre si girava, si è creata una forte sintonia. Chi ha operato questo piccolo miracolo, è stata la citta di Catanzaro In quelle settimane di ripresa, sferzate dal vento che portava con sé l’odore del mare.
   

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