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ilardo ammutati raisound

Il podcast di Michela Mancini disponibile su RaiPlay Sound

Si tratta di "delitti del potere", "non delitti da strada", "si tratta di omicidi commessi interno a interessi importantissimi" per i quali è stato "necessario zittire delle persone e di oscurare la ricerca della verità”.

Ciò che lega tutti questi delitti è un elemento ricordato a più riprese dell'ex procuratore generale di Palermo e oggi Senatore Roberto Scarpinato: "il depistaggio", cioè quelle operazioni che "hanno colpito la ricerca della verità sui delitti del potere" e che nella "gran parte dei casi non possono che essere stati compiuti da apparati di intelligence o polizieschi".

È questo il filo rosso descritto dall'avvocato Fabio Repici che caratterizza la storia del podcast ''Gli Ammutati. Uccisi perché sapevano'' firmato dalla giornalista Michela Mancini e disponibile su RaiPlay Sound. Negli ultimi due episodi "L'infiltrato" e "Fuga di notizie" è stata raccontata la storia del collaboratore di giustizia assassinato il 10 maggio 1996: "È la storia di un capo mafia, che si infiltra nella mafia, per conto dello stato" ha detto Repici alla presentazione del podcast.

"Luigi Ilardo era mio padre, nipote di Francesco Madonia, uno dei capimafia più importanti all'epoca nel territorio siciliano".

È la voce di Luana Ilardo, figlia di Luigi.

Dopo l'omicidio dello zio, nel 1978, Ilardo diventerà 'uomo d'onore' e comincerà a frequentare personaggi di un certo spessore criminale, tra loro vi sarà anche Gianni Chisena, criminale legato ai servizi, al centro di molti misteri, tra cui il caso Moro.

Chi era veramente costui? Sembra una di quelle figure cerniera assai significative e poco indagate: fu fatto fuori nel carcere di Fossombrone che ospitava Franco Bonisoli, il brigatista del commando di via Fani.

Tra le altre cose il confidente dei carabinieri raccontò che Giovanni Chisena, era iscritto alla massoneria. Si tratta di uomo che girava con il lascia passare del Ministero dell’Interno che era stato visto da Ilardo con una valigetta a metà anni ’70 con dell’esplosivo dentro, proveniente dalla base militare di Augusta e finalizzato a degli attentati.

Certamente quando si parla del caso di Luigi Ilardo non può che tornare alla mente il caso della mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzujuso. Il 31 ottobre del 1995, in un casolare di campagna, vi erano Bernardo Provenzano, Salvatore Ferro, Lorenzo Vaccaro, Giovanni Napoli e Nicola La Barbera. L'infiltrato, dopo il summit si trova faccia a faccia con Don Binu, si aspettò un blitz, ma non accadde nulla.

Quel giorno erano solo in quattro a sapere cosa stava accadendo: il tenente colonnello Michele Riccio (che ha gestito l'infiltrazione di Luigi Ilardo), l'allora colonnello Mario Mori, l'allora maggiore Mauro Obinu e Sergio De Caprio, alias 'Ultimo'.

La storia della sua infiltrazione è una storia molto delicata, piena di tensioni, paure, confidenze.

Il primo incontro tra Riccio e Ilario avvenne nel carcere di Lecce a fine settembre del 1993 assieme a Domenico Di Petrillo. Ad avvisare il colonnello della volontà di collaborare di Ilardo è l'allora capo della Dia Gianni De Gennaro il quale aveva ricevuto nei giorni precedenti un carteggio del suo avvocato nel quale si specificava che Ilardo era in grado di riconoscere i volti dei mandati delle stragi del '92-'93 e di certi omicidi eccellenti: Piersanti Mattarella, Pio La Torre, e sapeva chi c'era dietro all'attentato dell'Addaura.

Il 12 gennaio del 1994 Ilardo, nel mentre trasferito al carcere di La Spezia, ha in mano un foglio di carta che gli permise di uscire dal carcere per motivi di salute. Fu l'inizio della sua infiltrazione dentro Cosa nostra.

Nonostante la mancata cattura di Provenzano non si arrese e continuò a credere nello Stato volendo andare fino in fondo al proprio percorso di collaborazione con la giustizia che nel mese di maggio del ’96 doveva essere finalmente formalizzata con l’entrata ufficiale nel programma di protezione. Quel traguardo, però, Ilardo non lo vide mai. Il pentito, infatti, venne ucciso il 10 maggio da Cosa Nostra catanese a seguito di una misteriosa “soffiata istituzionale”, come sancito dalla sentenza in cui sono stati condannati i mandanti e gli esecutori mafiosi del suo omicidio (Giuseppe Madonia, Vincenzo Santapaola, Maurizio Zuccaro e Orazio Benedetto Cocimano).

Qualche giorno prima di morire, Ilardo, anticipò che avrebbe fornito all’autorità giudiziaria anche scottanti rivelazioni sulla strage di Pizzolungo, sul caso Agostino-Castelluccio, sui mandanti occulti delle stragi del 1992-1993, che ritenne essere connesse agli ambienti della destra eversiva e dei servizi deviati che negli anni ’70 avevano posto in essere la “strategia della tensione”, e sulle scelte politiche della mafia palermitana, che nel 1994 aveva trovato in Forza Italia il progetto politico su cui puntare dopo il maxi scandalo di Tangentopoli e il sostanziale “azzeramento” dei suoi ex referenti politici.

Il 2 maggio 1996 Ilardo alla sede del Ros "incontra il procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli, la sostituta procuratrice del tempo Teresa Principato e il procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra. È l'occasione in cui sposta la sedia per far capire che il suo interlocutore principale è Caselli e comincia a raccontare i suoi segreti dentro Cosa nostra", ha raccontato Repici. A quel tempo venne presentato anche all'allora colonnello dei carabinieri Mario Mori al quale Ilardo disse che "molti attentati che sono stati attribuiti a Cosa nostra in realtà sono stati voluti dallo Stato".

Dopo otto giorni la sua vita gli venne strappata e i segreti che avrebbero cambiato l’Italia vennero sigillati col sangue.

Ascolta il podcast RaiPlay Sound

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