L’avvocato Repici: “Tra i citati a giudizio ci sono soggetti la cui pericolosità sociale è stata rivenuta dal tribunale, non si abbassi la guardia”
I magistrati della Procura di Siracusa hanno emesso un decreto di citazione a giudizio per quattro persone accusate di aver ordito un piano per diffamare, con articoli e altri scritti su vari media, il giornalista Paolo Borrometi, condirettore dell’AGI che da nove anni vive sotto scorta per le sue denunce sugli affari della mafia. "In tempi diversi e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso", con articoli e pamphlet, avrebbero diffamato il giornalista è l'accusa ipotizzata dalla procura. Citati a giudizio l'ex deputato regionale siciliano di centrodestra Giuseppe Gennuso, il direttore del giornale online Diario 1984, Giuseppe Guastella, il giornalista Giuseppe Gallinella e Valeria Micalizzi. La prima udienza del processo è stata fissata per il 15 settembre davanti al giudice unico del Tribunale di Siracusa. Nel provvedimento, firmato dal procuratore aggiunto Fabio Scavone e dal sostituto Andrea Palmieri, si indica come 'promotore' l'imprenditore e politico 'Pippo' Gennuso, che dal 26 maggio è agli arresti domiciliari per scontare otto mesi di reclusione per traffico di influenze. Gli altri tre imputati sono accusati, a vario titolo, di avere concorso o scritto "una lunga serie di articoli" che avrebbero leso la "reputazione di Borrometi". Il giornalista è stato minacciato dalla mafia dopo aver svolto inchieste sulla mafia del Siracusano e del Ragusano sul sito che dirigeva, La Spia. Agli atti dell'inchiesta c'è anche la dichiarazione di un collaboratore di giustizia che alla Dda di Catania ha detto che Guastella "nell'estate del 2019" gli avrebbe ventilato l'ipotesi che "Giannuso, dietro compenso in denaro, avrebbe apprezzato che io avessi fornito loro notizie delegittimanti e diffamanti sul capitano dei carabinieri di Siracusa, Vincenzo Alfano, e sul giornalista Paolo Borrometi". Tra le parti offese nel processo, oltre a Borrometi, è indicato anche il vicequestore Antonino Ciavola, all'epoca dei fatti capo della squadra mobile di Ragusa, anche lui sarebbe stato vittima di diffamazione.
"Fra i principali attacchi diffamatori c'è quello alla sua professione, cioè l'accusa di aver fatto carriera nel consorzio Eni con la tesi che l'Eni avrebbe sostanzialmente supportato la carriera di Paolo in quanto uomo creato dai servizi segreti che sarebbero di casa dentro l'Eni”, ha sottolineato il suo avvocato, Fabio Repici, nel corso di una conferenza stampa alla Fnsi.
“Risulta dalle indagini effettuate dalla procura di Siracusa che sia stato contattato proprio alla fine del 2019 un pentito - di Siracusa - che viveva in località protetta sotto la protezione del servizio centrale di protezione. È stato avvicinato con la proposta di imbastire false accuse nei confronti da un lato di Paolo Borrometi e dall’altro un ufficiale di polizia giudiziaria, un capitano dei carabinieri”, ha detto il legale.
Repici ha messo in guardia anche rispetto al rischio di incolumità per Paolo Borrometi. “Al momento in cui citati a giudizio ci sono dei soggetti la cui pericolosità sociale è stata rivenuta dal tribunale di sorveglianza - ha spiegato ai giornalisti - non si può abbassare la guardia. Considerate che l'ex deputato regionale coinvolto si trova in detenzione domiciliare per un reato patteggiato a Roma, traffico di influenze illecite per l'ottenimento a pagamento in sostanza di una sentenza del consiglio di giustizia amministrativa, e il tribunale di sorveglianza gli ha rigettato, proprio per la sua pericolosità, l'affidamento in prova ai servizi sociali. Poiché si parla anche del capo mafia di Siracusa che si trova al 41-bis, Alessio Attanasio, condannato a pene consistenti per associazione mafiosa ed anche per omicidio, è evidente che la preoccupazione deve indurre chiunque a tenere gli occhi aperti".
FNSI si dichiara parte civile
Nel frattempo la Federazione nazionale della Stampa Italiana ha annunciato che si costituirà parte civile nel processo. A renderlo noto la Segretaria generale della Fnsi, Alessandra Costante, nel corso di una conferenza stampa che si e' svolta questa mattina a Roma con la partecipazione del presidente della Fnsi, Vittorio Di Trapani e del presidente dell'Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli. Per i due giornalisti imputati il presidente dell'ordine dei giornalisti ha assicurato provvedimenti che saranno presi, se le accuse di riveleranno vere, dal consiglio di disciplina territoriale. "In questo Ordine non ci deve essere spazio per le 'pecore nere' - ha detto Bartoli - che infangano il lavoro di decine di migliaia di persone che esercitano la professione con sacrificio. Occorre attivarsi per mettere alla porta chi non è degno di fare questa professione e mettere anche dei filtri rivolgendo attenzione sui profili di chi entra".
"Faccio un appello al ministero dell'Interno - ha detto il presidente della FNSI, Vittorio Di Trapani - con il quale abbiamo avviato da alcuni anni un proficuo lavoro con l'Osservatorio dei cronisti minacciati, credo che sia urgente convocare l'Osservatorio partendo proprio da questo episodio e capire cosa occorre fare per la sicurezza di Paolo e di tutti i cronisti minacciati". “I giornalisti ed i cronisti sono oggetto di intimidazioni e di attacchi da parte della criminalità organizzata e come dimostra questa vicenda si devono guardare e difendere anche dal fango.
La federazione della stampa è e deve essere al loro fianco. Nel caso di Paolo Borrometi la Federazione della Stampa si costituirà parte civile”.
Non usa mezzi termini il coordinatore dell'associazione Articolo 21 che chiamò 'traditori' gli autori di questa macchina del fango: “Si mette sul banco degli imputati chi ha contrastato le mafie, questi sono traditori della Costituzione, sono traditori della professione. Si tratta di una aggressione senza precedenti". Per la segretaria dell'FNSI, Alessandra Costante occorrono anche degli strumenti legislativi. "Noi pensiamo - ha detto Costante - che l'Italia debba dotarsi di normative contro le querele bavagli, contro le cosiddette querele temerarie che ostacolano il lavoro dei cronisti". "Ho visto mio padre morire con queste 'infamie' - ha detto Paolo Borrometi, che ha inoltre la delega alla Legalità per la FNSI - quindi non posso che rivolgere un pensiero a lui. Questi articoli hanno aggravato la sua condizione negli ultimi anni. Chi lo ha visto lottare come un leone senza mai far riferimento a quello che stava accadendo, lo si leggeva negli occhi la sua preoccupazione e il suo sconcerto per essere stato uno dei pochi rappresentanti istituzionali che in un periodo complicato, quale quello del 1991-96, non ricevette neanche un avviso di garanzia. E invece aver visto indirettamente per colpa del mio impegno giornalistico quel fango che gli e' piovuto addosso. E quindi oggi voglio ringraziarlo di cuore".
Solidarietà della CGIL
Intanto la CGIL si è schierata a fianco al giornalista. "Siamo vicini a Paolo Borrometi e condividiamo le preoccupazioni della Fnsi su quel mondo torbido disvelato dall'indagine della Procura della Repubblica di Siracusa, la quale ha fatto emergere uno spaccato inquietante di una azione tesa ad infangare un giornalista onesto e competente come Borrometi, che in tutti questi anni ha svolto un lavoro prezioso di informazione e di denuncia del malaffare, della mala politica e della mafia”, ha affermato Emilio Miceli, Responsabile CGIL nazionale delle Politiche della Legalità. "Rinnoviamo la nostra solidarietà nei confronti di Borrometi, con il quale - ricorda Miceli - la CGIL ha sempre avuto importanti e preziosi momenti di collaborazione. Alla magistratura il compito di portare a processo i responsabili della campagna di diffamazione, a Borrometi quello di continuare nel suo compito di informare e denunciare, forte del prestigio di cui gode e che quel mondo torbido, che ha prodotto una insopportabile macchina del fango nei suoi confronti, non è mai riuscito a scalfire", ha concluso Miceli.
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