di Salvo Vitale - 15 settembre 2014
“Si aprono le scuole, si alza il sipario, si vede il signor preside che….diciamo… abbraccia il segretario. Era un vecchio canto goliardico che aveva per ritornello “Palle, palle, palle rosse e gialle, sono tutte palle che tu dici a me.
Ed è lo stesso ritornello che, sino a questo momento, si può ripetere per Renzi, il quale spara giornalmente annunci, si inventa cento giorni, che adesso sono diventati mille ed ha promesso, per la scuola, una riforma che non riforma niente, dopo la devastante controriforma operata dalla Gelmini.
Gli istituti statali cadono a pezzi, ci piove dentro, non c’è carburante per i riscaldamenti, le aule sono piccole, i banchi scassati, i gabinetti sporchi, nelle biblioteche non arrivano più libri, i computer sono rotti e non vengono riparati, le fotocopiatrici non funzionano eccetera. Le risorse, sempre più striminzite, con le quali si amministra una scuola, non consentono più di organizzare laboratori, di interessare gli alunni in iniziative che li rendano protagonisti, di organizzare pubblicazioni e iniziative che coinvolgano le famiglie e aprano la scuola al territorio. A fronte di ciò il governo ha promesso che sarà rilanciata l’edilizia scolastica, che le scuole verranno adeguate, con gli impianti a norma, con computers e lavagne LIM, che non ci sarà più la piaga dei supplenti, che saranno assunti, nei prossimi anni 150.000 nuovi docenti e che dalle nostre scuole usciranno nuovi geni pronti a rinnovare i fasti di Dante, Leonardo, Galilei, Marconi.
Il tetto di alunni per classe, che è di 30, rende impossibile qualsiasi progetto educativo individualizzato, perché in 30 non si studia e non possono essere seguiti tutti, ma si fa casino e si continua a galleggiare in quell’ignoranza che ha ridotto la scuola italiana all’ultimo posto in Europa e gli alunni italiani tra i più ignoranti del mondo. A parte il fatto che, se l’aula è piccola, non si riesce neanche a respirare.
Ma anche il tetto di spesa all’acquisto dei libri si è rivelato una trovata pubblicitaria ed elettorale senza alcun risultato. Si è imposta l’adozione dello stesso libro obbligatoriamente per cinque anni, escludendo che possano spuntare nuovi testi più efficaci, si è stabilito un tetto di spesa, mediamente sui 500 euro, che non può essere sforato neanche di un euro e che costringe gli insegnanti a rendere “consigliati”, quindi fuori dal tetto, alcuni indispensabili testi che dovranno essere comunque acquistati, come i vocabolari o i classici. Si obbligano le classi a scegliere lo stesso testo per ogni corso, trascurando le scelte del docente. Sul Venerdì di Repubblica della scorsa settimana era scritto: “inizia la scuola, tremano le famiglie: i prezzi dei libri sono infatti un vero incubo. Quest’anno, secondo le associazioni dei consumatori addirittura saliranno, nonostante il limite imposto dal ministero dell’Istruzione, che in teoria aveva congelato i costi ai livelli del 2012." C’è un po’ di esagerazione nel parlare di incubi per una spesa che, confrontata con quella dei costosissimi cellulari, degli abiti griffati, degli zaini o delle scarpe da tennis: non parliamo dei tacchi a spillo, delle unghia finte, dei disegnini fatti su queste unghia finte, delle meches nei capelli, dei costosissimi trucchi delle ragazzine, dei profumi, dei motoroni con i quali si presentano a scuola, dei soldi per l’acquisto di canne e droghe varie da consumare negli sballi del sabato sera a confronto la spesa dei libri sembra quella di un’elemosina. Si aggiunga che c’è un notevole commercio aperto e sotterraneo dell’usato, la ricerca del testo dato in “saggio” all’insegnante, la richiesta del saggio gratuito che l’insegnante avanza alla casa editrice, per favorire il figlio di qualche collega o qualche amico o infine il commercio di fotocopie e appunti che spesso consentono di fare a meno del libro di testo. Il quale è comunque presente su Internet e può essere scaricato da chi dispone di un computer, di una stampante, della carta, magari utilizzando a sbafo quelli dell’ufficio in cui lavora.
Non parliamo del salario degli insegnati: è bloccato da due anni, gli scatti sono congelati, con i 1.500 euro di paga si pretende che l’insegnante, oltre che mangiare e vestirsi, possa pagare le spese di casa, viaggiare per recarsi sul posto di lavoro, comprare nuovi testi per aggiornarsi, imparare le nuove tecnologie, trascorrere gran parte dei pomeriggi in inutili riunioni, consigli di classe, collegi dei docenti, dipartimenti, assi culturali, commissioni, giudizi analitici, pagelle, preparazione del registro on line, correzione dei compiti, preparazione della lezione, e quant’altro serve a trasformare il lavoro dell’insegnamento, di per sé bellissimo, in un’adempienza burocratica per riempire cartacce. Negli ultimi anni il carico di lavoro è notevolmente aumentato, senza che in cambio ci sia stato un corrispettivo economico. Adesso, tanto per scatenare la solita guerra tra poveri, si sbandiera che gli aumenti saranno dati non per gli scatti di carriera, ma per il merito: sarà il Dirigente scolastico a decidere se uno merita più di un altro, secondo le sue valutazioni che renderanno gli insegnanti un gregge di lecchini pronti a strisciare per ottenere qualche soldo in più: più o meno come una volta, quando c’erano le note di qualifica e ogni insegnante era valutato come “ottimo”, “buono”, “valente”, “sufficiente”, “scarso”, con l’attribuzione di un equivalente punteggio da 1 a 6 punti, utili poi per la graduatoria.
Non parliamo poi della distruzione del principio di “continuità didattica”. Mentre a un insegnante una volta veniva affidato un corso, che veniva da lui curato per la durata dell’orario cattedra (biennio, triennio, quinquennio), adesso, pur di arrivare al totale di 18 ore, si cambiano intere classi, prendendo quelle che hanno un numero di ore necessario a completare le 18 ore-cattedra, da un corso all’altro, in un caos indescrivibile dove alunni e docenti sono trattati come burattini o robot in rapporto alle imperscrutabili strategie dei dirigenti scolastici, vengono lasciati e magari ritrovati l’anno successivo, o addirittura si assegnano le stesse classi, per esempio le seconde, allo stesso insenante, per la stessa materia, così che uno che insegna storia in sei classi uguali è costretto a spiegare lo stesso argomento sei volte nello stesso arco di tempo.
In questo contesto non si parla di rinnovamento dei programmi, di adeguazione dell’insegnamento alla cultura del tempo vissuto, di conoscenza della contemporaneità, oltre che del passato. Meno che mai si mette in pratica la grande intuizione della “maieutica” di Danilo Dolci”, con il coordinamento, la collaborazione e l’elaborazione creativa degli alunni, poiché le conoscenze continuano ad essere trasmesse dall’alto e sono da memorizzare senza discussione. La geografia, materia indispensabile per conoscere il mondo, è una materia dimenticata, il diritto e la conoscenza delle leggi dello stato in cui si vive si studia negli istituti commerciali, il latino sta per scomparire, l’educazione civica, che è poi educazione alla legalità, è un optional per qualche docente di storia che ogni tanto decide di fare una predica, la religione non si apre per nulla allo studio di altre religioni diverse dalla cattolica, l’educazione fisica ha lo stesso peso, nell’elaborazione e nell’assegnazione dei punteggi di merito, quelli che fanno “media scolastica”, di materie ben più importanti, dietro la facciata ipocrita che tutte le materie hanno la stessa dignità: non hanno la stessa dignità invece i nove e i dieci sparati dai prof. di educazione fisica per fare alzare la media, specie al momento di dare il punteggio con cui presentarsi all’esame di stato.
E si potrebbe continuare all’infinito: non si mette invece minimamente in discussione il contributo di 280 milioni di euro che lo stato ha fornito quest’anno alle scuole private, le quali, proprio per essere private, dovrebbero gestirsi da sé con i soldi dei privati che vi mandano i propri figli. Ma siamo andati lontano. L’importante, oggi che Renzi sta dando un segnale d’attenzione visitando la scuola di Brancaccio, è che anche nella scuola possa determinarsi quella volontà di risalire la china, che dovrebbe caratterizzare tutte le scelte politiche per tutta l’Italia e che l’Italia sia messa in grado di utilizzare a casa propria ciò che investe nell’istruzione, ovvero le proprie risorse intellettuali, troppo spesso costrette a cercare lavoro e valorizzazione all’estero.