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Gratteri: "Per effetto della riforma Cartabia non abbiamo potuto contestare una truffa per 3 mln di euro"

I carabinieri del Ros, con il supporto in fase esecutiva dei militari del Comando provinciale di Vibo Valentia, hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip distrettuale di Catanzaro, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, a carico di 11 persone indagate, a vario titolo, per associazione per delinquere di tipo mafioso, imputazione che viene contestata in particolare a quattro soggetti. L'operazione rappresenta, la prosecuzione dell'indagine "Rinascita Scott" condotta nel dicembre 2019 dal Ros e che portò all'arresto di 334 persone indagate, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, detenzione di armi, traffico di stupefacenti, truffe, turbativa d'asta, traffico di influenze e corruzione. La misura cautelare eseguita oggi riguarda, in particolare, 8 persone in carcere, di cui una in Ungheria, e 3 destinatari della misura interdittiva del divieto di esercitare attività imprenditoriali o uffici direttivi di persone giuridiche.
Tuttavia, come ha sottolineato il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri "nel corso di questa indagine purtroppo non abbiamo potuto contestare una truffa aggravata di 3 milioni di euro, abbiamo dovuto chiedere la revoca della custodia cautelare, proprio perché per effetto della riforma Cartabia ci voleva la querela della parte offesa, ma purtroppo non siamo riusciti a rintracciare la parte offesa perché è il viceministro, ex ministro dell'Oman, e siccome ovviamente l'Oman non è in Europa, quindi non fa parte del trattato di Schengen, siccome non c'è un trattato bilaterale, fare la rogatoria internazionale ai fini della notifica ci passa molto tempo, noi non possiamo rischiare".
"Sono emerse in maniera nitida - ha aggiunto Gratteri - operazioni di riciclaggio che hanno interessato la Danimarca, l'Inghilterra, la Francia, Cipro e l'Ungheria. Operazioni, tra l'altro, abbastanza sofisticate. Abbiamo sempre detto che la 'ndrangheta non è in grado di fare riciclaggio sofisticato, ma si deve rivolgere, per questo, al mondo delle professioni. Ed i risultati di questa operazione ne rappresentano un classico esempio. Siamo riusciti a dimostrarlo grazie alla nostra credibilità e all'aiuto di Eurojust. È stato possibile fare intercettazioni ambientali in Ungheria nello studio di un'avvocata, che faceva riciclaggio per conto della 'ndrangheta e che per questo è stata arrestata". Gratteri, riguardo la mancata contestazione della truffa, ha spiegato che "non c'è un trattato bilaterale tra Italia ed Oman e fare la rogatoria internazionale per chiedere alla parte danneggiata se volesse fare querela, ci avrebbe fatto perdere molto tempo. Per questo motivo non abbiamo potuto chiedere la custodia cautelare per la truffa. Siamo riusciti anche a dimostrare l'esistenza di una banca ungherese specializzata nel trattamento delle criptovalute, alle quali la 'ndrangheta è molto interessata".
L'odierna indagine, corroborata da intercettazioni e dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, ha documentato l'appartenenza all'articolazione territoriale di 'Ndrangheta attiva su Sant'Onofrio, nel Vibonese, di 4 soggetti, uno dei quali, per agevolare le attività di riciclaggio in favore della cosca, ha costituito una serie di società di diritto italiano, ungherese e cipriota, fittiziamente intestate a terzi soggetti. In tale contesto, è stato emesso un mandato d'arresto europeo per un avvocato ungherese risultato intestatario del 50% delle quote societarie di una delle predette società. Sono state anche ricostruite le dinamiche sottese ad una truffa, consumata nel 2017 dall'articolazione mafiosa, a danno di investitori omaniti che hanno versato la somma di un milione di euro dietro la promessa di ottenere il 30% delle quote di una società cui era riconducibile un compendio immobiliare in Budapest. Ed è stato anche eseguito un sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni e società per un valore di circa 3 milioni di euro. L'esecuzione del mandato d'arresto europeo è stata garantita dal supporto della Direzione Centrale della Polizia Criminale - Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia (progetto Ican), mentre il sequestro delle società e dei conti localizzati in Ungheria è coordinato da Eurojust e, nell'ambito del reciproco riconoscimento dei provvedimenti reali, si tradurrà in un congelamento di beni.

Confische beni per 13 milioni di euro
Beni per circa 13 milioni di euro e conti bancari in Lituania e Romania sono stati confiscati a Reggio Emilia, Modena, Parma, Perugia, Crotone e Cutro (Crotone) a 10 persone, quattro dei quali in carcere perché ritenuti affiliati alla 'Ndrangheta, in particolare al clan di Nicolino Grande Aracri. Il provvedimento nei confronti di una famiglia di Cutro radicata a Reggio Emilia era stato chiesto dal direttore della Dia-Direzione investigativa antimafia, dopo le indagini su infiltrazioni della criminalità organizzata di origine calabrese nei settori imprenditoriali dell'Emilia Romagna. Passano così all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbcs) 23 immobili, di cui quattro a Reggio Emilia, sei a Bibbiano (Reggio Emilia), tre a Vezzano sul Crostolo (Reggio Emilia), nove a Montecchio Emilia (Reggio Emilia) e uno a Cutro (Crotone), quattro terreni per un totale di quasi cinque ettari, dei quali uno a Perugia, uno a Reggio Emilia e due a Crotone, oltre a tredici mezzi tra auto, scooter e autocarri. Inoltre, sono state confiscate otto società con sedi in Italia e all'estero, in particolare tre a Parma, una a Reggio Emilia, una a Modena e tre in Romania, attive nel settore delle costruzioni, una ditta individuale con sede a Montecchio Emilia, oltre a 45 tra conti correnti, libretti, polizze, cassette di sicurezza, carte di debito/credito tra Italia, Lituania e Romania, dei quali dieci intestati a società e 39 conti intestati a persone fisiche riconducibili, per la maggior parte, ai dieci destinatari della misura. Gli altri beni già sequestrati sono stati venduti e il ricavato e' andato a favore dello Stato. Nel 2014 il tribunale di Reggio Emilia aveva disposto d'urgenza un sequestro patrimoniale e affidato i beni a un amministratore giudiziario, su richiesta degli investigatori del centro operativo della Dia di Firenze che avevano rilevato tentativo di un familiare degli indagati di distrarre ingenti somme di denaro: aveva chiesto di convertire titoli del valore di centinaia di migliaia di euro. Nel 2018 le indagini condotte dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Modena nell'ambito dell'operazione 'milia' hanno consentito alla Dda di Bologna di ottenere un'estensione di quella misura di sequestrato. Nel 2020 si è arrivati alla confisca, diventata definitiva dopo un giudizio definitivo della Corte di Cassazione.

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