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Oltre al traffico di droga, la cosca Anello vantava rapporti con politica e forze dell’ordine, sia in Italia che all’estero

Oltre 2mila pagine di motivazioni e 65 persone condannate hanno delineato i fatti del processo “Imponimento”. Grazie anche alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra cui Michele Iannello e Giuseppe Giampà che hanno descritto l’ascesa degli Anello a partire dagli anni ‘90, i giudici, oltre a confermare il castello accusatorio della Dda di Catanzaro, hanno raccontato come la cosca avrebbe “cercato di scardinare lo strapotere dei Mancuso e del boss Pantaleone Scarpuni’”, per diventare “parte integrante ed importante all’interno di un piano di spartizioni del potere già ideato dal boss Luigi Mancuso”.
Tra i vari territori interessati dalle attività criminali ad opera della cosca Anello, per i giudici, quello di Filadelfia si “caratterizza per una storia parzialmente diversa da quelle delle altre articolazioni di ‘ndrangheta operanti nel Vibonese” questo perché gli Anello “vantano antichi legami con i Bellocco di Rosarno” e, considerata la vicinanza, “volgono le loro attenzioni anche al territorio Lametino”.
Una cosca, quella degli Anello-Fruci, molto potente e capace di “incutere timore per la sua stessa esistenza” causando per questo una condizione di “assoggettamento e un atteggiamento di omertà, dettato dalla paura di eventuali ritorsioni” e, anche grazie alla presenza del boss Rocco Anello, capace di “esplicare una forza di intimidazione pronunciando soltanto il proprio nome”.
Una capacità dimostrata anche dalla natura variegata dei settori in cui la cosca operava. Il procedimento ha dimostrato come l’estorsione, il traffico di droga e il controllo del territorio da parte della ‘ndrina fossero solo una parte delle loro attività. Infatti, la cosca Anello poteva vantare anche proficui rapporti con uomini della politica, locale e nazionale, con esponenti delle forze dell’ordine sia in Italia che in altri paesi come Svizzera, Germania e Lichtenstein.

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