L'inchiesta "Hermano", coordinata dal Procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giovani Bombardieri, conferma il forte interesse della 'Ndrangheta nel traffico internazionale di stupefacenti, soprattutto di cocaina. Nell'inchiesta, numerosi sono gli indagati originari della piana di Gioia Tauro, con ramificazioni sul territorio nazionale. Un'organizzazione - secondo gli inquirenti - in grado di movimentare ingenti quantitativi di stupefacente in arrivo dal sud America, attraverso una rete di complicità tra la Spagna e l'Italia. Tra i destinatari del provvedimento cautelativo - complessivamente diciannove persone di cui sette in carcere e dodici ai domiciliari - emesso dal Gip di Reggio Calabria, Giovanna Sergi, figurano Carmelo Bonfiglio, 42 anni, individuato come la 'mente' del gruppo criminale, in grado di interfacciarsi con narcos peruviani. L'organizzazione criminale avrebbe agito in tutta l'Italia del nord con la "benedizione" dei capi "locale" della 'Ndrangheta operanti in Lombardia.
Narcotraffico gestito anche dal carcere
Per sviare i controlli delle forze dell'ordine e quelli in aeroporto, la cocaina smerciata dal gruppo criminale smantellato nell'ambito dell'operazione "Hermano" veniva trasportato in forma liquida, chimicamente intrisa nelle fibre di valigie o addirittura saturandola nei libri per poi estrarla attraverso processi chimici di reazione molecolare che ne consentono il recupero. Un metodo emerso in fase di indagini quando a Biella i carabinieri sequestrarono 250 grammi di cocaina trasportata in un trolley insieme a due bidoni di solvente che, secondo gli investigatori, sarebbe servito al processo inverso di estrazione della sostanza. Ai 19 indagati, sette in carcere e 12 ai domiciliari, viene contestata anche l'aggravante della natura transnazionale del traffico di stupefacenti. I carabinieri, indagando, sono riusciti a scoprire che il coordinamento delle attività veniva gestito anche dall'interno del carcere di Ivrea. Per il gip Sergi, l'episodio è "degno di un best set cinematografico hollywoodiano". In sostanza, "una banda di detenuti, per la maggior parte sudamericani - è scritto nell'ordinanza - divulgava disposizioni all'esterno su dove, come e quando commercializzare cocaina, oppure ordinava dosi della medesima sostanza stupefacente da introdurre nel carcere e, per finire, dava indicazioni sul traffico della droga da e per l'Ecuador. Il tutto mediante l'uso illegale di un telefono cellulare munito di regolare sim card". Alcuni indagati sono ritenuti affiliati alla 'Ndrangheta. Altri, invece, stando all'inchiesta, erano in contatto con personaggi legati alle cosche mafiose calabresi come i Papalia operanti a Milano o affiliati alle famiglie Molè di Gioia Tauro, Cacciola-Grasso di Rosarno, Ierace di Cinquefrondi, Manno-Maiolo di Caulonia e Facchineri di Cittanova. Agli atti dell'indagine, coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri, c'è pure la famiglia De Stefano di Reggio Calabria.
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