di Giorgio Bongiovanni
Il grave silenzio dei politici sulla lotta alla mafia
Alcuni giorni fa la Presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi ha duramente criticato la totale assenza della lotta alla mafia nella campagna elettorale: “Si vuole il consenso vero del Paese o in qualche modo si è anche disposti, magari solo con il silenzio senza scendere a patti, a prendere anche i voti delle mafie?” si è chiesta la Bindi. Effettivamente nessun movimento politico ha il coraggio di parlare di mafia, da sempre garante di voti che di volta in volta sposta sul suo “cavallo vincente”. Una preoccupazione alla quale ha fatto eco anche il pm Nino Di Matteo che, nell'intervista di El Paìs, ha sottolineato come la lotta alla criminalità organizzata stia passando sotto il più completo silenzio.
La questione, però, non è il parlare di mafia in sé e per sé, oggi relegata alle ultime righe dei programmi di governo o a qualche battuta qua e là in questo o in quel comizio. Ciò che è veramente grave è che nessun leader politico racconterà la verità al popolo, né ora, né una volta al governo. Lo si deduce dal fatto che la “grande Europa” dal 2014 inserisce nel Pil, secondo la direttiva prevista dal sistema di contabilità “Sec 2010”, i proventi del mercato illecito di stupefacenti, che gli ultimi dati ancora in fase di elaborazione attestano in perenne crescita. Un trend dedotto dal record dei sequestri di droga pari a 100 tonnellate nel 2017, il valore più alto negli ultimi dieci anni dopo quello del 2014 (154 tonnellate). Si tratta del Pill: il Prodotto interno lordo lercio, ingrassato dai 200 miliardi di euro – stimati per difetto – che ogni anno le mafie lucrano sul sangue e la pelle della gente con il traffico di droga, il riciclaggio di denaro e la corruzione.
D'altronde la più potente organizzazione di narcos al mondo è tutta made in Italy, la testa del serpente in Calabria. La 'Ndrangheta, con un “fatturato” di 100 miliardi annui (sui 150 totali del narcotraffico) detiene il monopolio degli stupefacenti nel mondo occidentale, come è stato ormai ampiamente documentato da un eccellente lavoro giudiziario, in particolare svolto dai magistrati Gratteri, Lombardo e dai colleghi delle Dda calabresi. Un potere, quello delle cosche - unito al forte condizionamento esercitato nelle sfere dell'alta finanza - particolarmente presente nell'economia nostrana, che ancora resta tra quelle delle sette nazioni più ricche al mondo. Ma anche tristemente famose per il Pill.
Può, dunque, un paese come questo, essere diventato un narco-Stato? Perché i politici non denunciano pubblicamente il fatto che il problema economico numero uno in Italia sono le mafie e i loro soldi? Nessun partito ne ha mai parlato, perché al di là dei voti necessari di cui avranno bisogno per arrivare al governo, il “vincitore” dovrà scendere a patti con questi magnati dell'economia annidati nella grande finanza.
Ovviamente l’appello è destinato a tutti i grandi partiti in corsa alle elezioni che non si chiamano “Forza Italia”. Giacché cosa si può dire a un partito fondato da un condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, il cui capo è indagato (insieme a Dell'Utri) nell'inchiesta sui mandanti delle stragi del ‘93?
Non possiamo, però, non rivolgere queste domande anche al presidente Mattarella, che, oltre ad essere Capo dello Stato, ha perso il fratello Piersanti in un agguato mafioso. Come dobbiamo considerare una nazione che basa il proprio Prodotto interno lordo anche sul fatturato delle organizzazioni criminali? I nostri onorevoli candidati vogliono davvero liberare il Paese da questo cancro e fare luce sui mandanti esterni alle stragi, che certamente hanno a che fare anche con il Pil lercio?
Chi, tra i candidati in corsa alle elezioni, intende sciogliere il patto che da centocinquant'anni lega Stato e mafia a doppio filo? E, una volta per tutte, dare giustizia ai parenti delle vittime di mafia?
Quotate in borsa, le organizzazioni criminali raggiungono 1680 miliardi di euro, mentre tutte le società valgono insieme 558 miliardi. Ciò vuol dire che se la mafia le acquistasse tutte, le avanzerebbero ancora 1092 miliardi da investire. Potrebbe comprarsi tutta la Borsa di Milano, con un avanzo di 500 miliardi di euro. Se si allarga il raggio d’azione, poi, lo scenario globale non è molto diverso, se pensiamo che il valore nazionale dei derivati sui mercati mondiali a metà 2016 era – secondo la Banca dei Regolamenti internazionali – pari a 637 trilioni di dollari. Un valore che è 10 volte il Pil dell’intero pianeta.
In questo ultimo giorno di campagna elettorale, gli aspiranti presidenti del consiglio – in particolare dei grandi partiti, da Renzi, a Grasso, a Di Maio – sono consapevoli di come il nostro Paese sia messo in ginocchio dai numeri del narco-Stato-mafia?
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