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Il procuratore capo di Palermo spiega i motivi che hanno ritardato di 30 anni l’arresto di Matteo Messina Denaro

Anche se la Cupola di Cosa nostra è stata smantellata, le cosche starebbero tessendo con pazienza e audacia nuove tele. Avvalendosi di significative e influenti connessioni con il mondo della politica e dell’imprenditoria, Cosa nostra, dopo gli arresti eccellenti con la quale è stata colpita pesantemente, sta tentando, infatti, di ripristinare il vecchio potere ma con un nuovo vertice capace di sostituire i vecchi capimandamento. Questo è quanto si evince dalla recente intervista che Maurizio de Lucia, procuratore capo di Palermo, ha rilasciato ai microfoni di “Famiglia Cristiana”, il magazine settimanale di ispirazione cattolica. “Non c’è dubbio che la mafia abbia avuto relazioni esterne e che Matteo Messina Denaro sia a conoscenza di una serie di accadimenti a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, di cui noi sappiamo ancora poco. Ma anche di alcuni rapporti di natura economica e politica che riguardano gli anni più recenti. Le nostre attività di indagine, a prescindere da Messina Denaro, - ha ribadito de Lucia - sono orientate su questi settori”. Indagini che progrediscono e vanno avanti mentre i vecchi metodi d’indagine si alternano con i nuovi; dove i metodi investigativi tradizionali, fatti di pedinamenti, appostamenti e microspie piazzate nei posti più disparati, si mescolano con le moderne tecnologie digitali, in grado di ‘scavare a fondo’ con precisione e una velocità impensabile per le vecchie attrezzature. Attività investigative che si possono realizzare solo “mettendo in campo le tecniche del passato con le acquisizioni tecnologiche di cui disponiamo oggi. E’ una guerra parallela - ha precisato il capo della Procura di Palermo - perché sia noi che loro mettiamo in campo gli strumenti più sofisticati. I mafiosi fanno affari utilizzando le piattaforme criptate, comunicano con i sistemi che carabinieri, polizia e Guardia di finanza spesso fanno fatica a ‘bucare’, e noi adoperiamo gli strumenti più avanzati che la tecnologia ci offre, come il ‘malware trojan’, un virus informatico che si insinua in cellulari e pc. Naturalmente, con la differenza che, mentre noi dobbiamo rispettare le regole, loro questo problema non ce l’hanno”.

Da don Puglisi all’arresto di Messina Denaro
Insomma, si tratterebbe di una mafia che cerca di recuperare il terreno perso, adattandosi ai cambiamenti sociali in modo meno violento rispetto al passato e, soprattutto, con modalità più discrete e silenti. “Dal punto di vista economico, in questo momento la ‘Ndrangheta è nettamente superiore a Cosa nostra. Lo è perché non ha subito gli stessi colpi devastanti. Oggi uno degli obiettivi di Cosa nostra è quello di tornare sul mercato degli stupefacenti, cercando di dialogare con gli ‘ndranghetisti. Ma Cosa nostra ha una storia di rapporti con altri poteri che nessun’altra organizzazione ha, incidendo perfino su scelte della politica nazionale. Ha una storia molto più importante, ha avuto una struttura unitaria, con una Cupola, un vertice, che le consentiva di avere un centro che può parlare con altri poteri”. E ancora: “Abbiamo smantellato la Cupola, arrestando tutti i capimandamento. Ciò che emerge dalle nostre indagini - ha proseguito de Lucia - è proprio il fatto che uno dei primi obiettivi di Cosa nostra per tornare ad essere forte è ridarsi il vertice. Non c’è riuscita perché fino adesso le nostre indagini lo hanno sempre impedito”. Un cambiamento che sembra essere rappresentato dalla trasformazione dei rapporti della Chiesa con la mafia, un cambiamento che non lascia spazio alla “tolleranza”. Una svolta dunque, che secondo de Lucia sarebbe arrivata grazie al “monito di Giovanni Paolo II contro i mafiosi, con l’invito a convertirsi. Dopo quelle parole dichiaratamente antimafia, che sono le parole di tutta la Chiesa, non solo di pastori come don Pino Puglisi, si apre un percorso inequivocabile che oggi prosegue con il pensiero di Papa Francesco”. Difatti, proprio la Chiesa di don Puglisi, secondo il codice dei boss, potrebbe essere definita un Chiesa ‘eversiva’. “La figura di don Puglisi è quella di chi sottrae, con l’esempio di quello che fa, i giovani a rischio mafia in una borgata come quella di Brancaccio. La borgata che per definizione era la borgata mafiosa, dove il potere dei fratelli Graviano era intoccabile, mentre questo mite sacerdote non fa proclami, ma attività costanti e dirette ai bambini e ai giovani. La mafia ci arriva sempre prima a capire queste cose - ha spiegato -. Lo ha fatto con il racket, uccidendo Libero Grassi, ammazzato non perché non paga il pizzo, ma perchè diventa un simbolo che può indurre gli altri a non pagarlo”. Infine, il procuratore capo di Palermo ha spiegato i motivi per cui ci sono voluti 30 anni per catturare il boss stragista Matteo Messina Denaro: “In questi 30 anni abbiamo catturato tutti i capi di Cosa nostra: da Riina a Buscetta, da Aglieri a Provenzano. Non è che ne cercavamo uno solo. C’è un lunghissimo elenco di capi che abbiamo assicurato alla giustizia. Nelle carceri italiane - ha concluso - ci sono migliaia di mafiosi e i loro patrimoni sequestrati. Certo, mancava Messina Denaro. Ci sono voluti tempo e sacrifici, in mezzo a tante difficoltà. Stiamo lavorando per identificare tutte le protezioni che ha avuto. Siamo arrivati 30 anni dopo, ma è anche un fatto che ci siamo arrivati”.

Foto © Imagoeconomica

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