L’appello per la morte del giornalista ucciso da Cosa nostra
di AMDuemila
E’ fissata per oggi la prima udienza del processo d’appello per l’omicidio di Mauro Rostagno, giornalista ucciso a Lenzi il 26 settembre 1988, davanti alla Corte d’assise d’appello di Palermo presieduta dal giudice Daniele Marraffa.
Il primo grado del dibattimento si era concluso con la condanna dei due imputati: Vincenzo Virga, in qualità di mandante, e Vito Mazzara, individuato come l’esecutore.
Il pm Francesco Del Bene, uno dei rappresentanti della pubblica accusa per il processo, aveva parlato di “fatto molto importante” riferendosi alla trasmissione degli atti alla Procura, per falsa testimonianza, nei confronti di alcuni testi che avevano deposto, tra cui Beniamino Cannas e Angelo Voza, investigatori e rispettivamente luogotenente dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. “Sono emersi concreti indizi di reità – si legge nelle motivazioni della sentenza – in ordine al reato di falsa testimonianza, o nella forma del mendacio o in quella della reticenze o in entrambe le configurazioni, avuto riguardo a circostanze "sensibili" per l'accertamento dei fatti per cui si procedeva”.
Al centro la gestione delle indagini, che in qualche caso sembra sfociare in vero e proprio depistaggio, allontanando dalle ricostruzioni il ruolo fondamentale svolto da Cosa nostra, processualmente provato solo dopo 26 anni dalla morte del giornalista trapanese di adozione. Nel corso del processo il pubblico ministero Gaetano Paci dichiarava: “Le prime indagini sull'omicidio di Mauro Rostagno condotte dai carabinieri del Reparto Operativo di Trapani furono scandite da troppe anomalie. In quest'aula abbiamo dovuto inevitabilmente processare certi atteggiamenti delle forze dell'ordine, ma anche di questo Palazzo di Giustizia, e in generale della città di Trapani. Perché troppe sono state le insufficienze investigative, le omissioni, le sottovalutazioni. Ma anche orientamenti di pensiero di taluni rappresentanti istituzionali dell'epoca naturalmente adesivi verso la presenza mafiosa”.
Molti, infatti, i dubbi sui comportamenti tenuti dall'Arma nella gestione delle indagini che hanno sempre condotto a un vicolo cieco, e in seguito passate alla Squadra Mobile di Trapani quando la Dda di Palermo pensava di presentare la richiesta di archiviazione. Gli investigatori della Mobile, al tempo diretta dal vice questore Giuseppe Linares, fecero notare che non erano mai stati effettuati riscontri balistici. E quando questi furono eseguiti portarono al killer Vito Mazzara.