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messina-denaro-matteo-web1di AMDuemila - 23 luglio 2015
Il pg di Palermo Luigi Patronaggio, a conclusione della requisitoria nel processo di appello Golem 2 a carico di Matteo Messina Denaro e di altri 12 imputati, ha richiesto le condanne per Giovanni Risalvato, imprenditore edile (25 anni di reclusione), Vincenzo Panicola, cognato di Messina Denaro (16 anni) e 20 anni per Lorenzo Catalanotto, autore, insieme a Risalvato e Marco Manzo, dell'atto incendiario ai danni del consigliere del Pd Pasquale Calamia. Per Maurizio Arimondi, invece, sono stati richiesti 15 anni.
Patronaggio ha anche confermato la richiesta delle condanne del processo in primo grado per il boss latitante Matteo Messina Denaro, Nicolò Nicolosi e Marco Manzo (rispettivamente 10 anni, 2 anni e 3 mesi e 4 anni). Per la prima volta, nel precedente grado di giudizio, era stato riconosciuto a Messina Denaro il ruolo di capo dei clan di Trapani e Palermo. Il tribunale gli aveva dato 10 anni per la partecipazione all'associazione mafiosa dal 2008 al 2009, in quanto per il periodo precedente c'era a carico del boss una condanna passata in giudicato a 20 anni.

Il pg ha inoltre chiesto la condanna a 18 anni di reclusione per Leonardo Ippolito (assolto in primo grado insieme a Giovanni Filardo, Filippo Sammaritano e Giovanni Stallone, nonostante le condanne richieste dall'accusa). Secondo i pm del processo in primo grado era proprio nell'officina di Ippolito che sarebbero stati convocati i summit di mafia. Condanna richiesta dal pg anche per Filardo e Tonino Catania (21 anni di reclusione), 6 anni per Calogero Cangemi.
Nel corso delle complesse attività di indagine e processuali è stato consentito di individuare ruoli, strategie e modalità operative di Cosa nostra trapanese, che assumeva condotte illecite volte a realizzare i propri interessi e diretta dallo stesso Messina Denaro. Alla sbarra esponenti strategici delle famiglie mafiose di Campobello di Mazara e di Castelvetrano, che hanno ricoperto un ruolo fondamentale nel sostegno alla latitanza di Messina Denaro, curando i canali riservati di comunicazione con i vertici di Cosa nostra palermitana, ma anche riuscendo a garantire documenti d’identità falsi e realizzando una rete per le numerose azioni estorsive. Tra le vicende portate alla luce, anche alcuni incendi ordinati dal boss, come quelli che hanno colpito il consigliere comunale Pasquale Calamia, colpevole di avere auspicato in consiglio comunale a Castelvetrano la cattura di Messina Denaro, o l’imprenditore Nicolò Clemenza che si era fatto promotore della creazione di un consorzio di produttori oleari che avrebbe dato fastidio al super latitante.

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