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mori-mario-web10di Simona Zecchi - 31 luglio 2014
Il passato sembra sempre bussare alla porta dell’ex comandante del Ros dei Carabinieri, Mario Mori, attualmente imputato al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, e non solo, visto che il passato in questione rappresenta ancora oggi il cuore della ragnatela stesa su vicende terribili che coinvolgono, o hanno coinvolto, uomini dello Stato, militari e politici. Dopo la notizia trapelata il 22 luglio sui nuovi accertamenti che la procura di Palermo sta compiendo sull’allora giovanissimo carabiniere Mario Mori, in merito al ruolo da lui svolto all’interno del Servizio informazioni Difesa dal ’73 al ’75 (ma gli anni restano imprecisi), sotto il comando del generale Federico Marzollo, si può forse trovare una spiegazione.

I documenti che in modo diverso, non sempre lineare, ma ugualmente importante, raccontano i tempi bui della strategia della tensione sono spesso, e in buona parte, disponibili, non in quanto declassificati (almeno non ancora, l’attesa in tal senso dura da aprile) ma come pubblicistica data in stampa o semplicemente resa pubblica sul sito del Parlamento o ancor più, a volerle leggere quando non sono sparse in mille rivoli giudiziari, negli atti delle varie sentenze e delle loro archiviazioni. Per non parlare dei resoconti dei quotidiani e dei settimanali del tempo, nei quali, ormai anche grazie alla cosiddetta Controinformazione che aveva spianato la strada al giornalismo d’inchiesta, certi argomenti venivano approfonditi e ripresi all’ordine del giorno. E’ tutto lì, insieme o spezzettato, a volte ignorato e apparentemente senza fili a collegarlo. Compito, questo, che spetterebbe anche al giornalismo.

Ci proviamo. Il 3 marzo 1997, l’ex generale Gian Adelio Maletti che risiedeva già in Sud Africa dal 1980 per non subire la condanna di depistaggio relativa ai fatti di Piazza Fontana, è stato ascoltato direttamente sul posto dalla Commissione sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi (Leggi l’intera audizione). Dopo aver risposto alle domande del presidente della Commissione, Giovanni Pellegrino, in merito ai rapporti che intercorrevano fra Maletti e il generale Vito Miceli, suo capo al tempo (anch’egli coinvolto nei fatti di Piazza Fontana e successivamente arrestato per cospirazione nell’ambito dell’inchiesta Rosa dei Venti) e fra loro e l’ex onorevole Giulio Andreotti, Maletti fa riferimento a un’organizzazione diversa da Gladio: «Quando io mi riferivo all’organizzazione approssimativa che ruotava attorno al generale Miceli pensavo a tutt’altra cosa, non a Gladio ma ad un piccolo gruppo costituito da un tenente colonnello, forse due sottufficiali e probabilmente da altri elementi, questi presso il raggruppamento centri di controspionaggio di Roma (e in particolare uno dei capi del raggruppamento, il colonnello Marzollo) che erano manovrati direttamente dal generale Miceli al di fuori della mia conoscenza di questi contatti».

Da tenere presente che Maletti sia in questa audizione, che nella lunga intervista culminata in un libro Piazza Fontana. Noi sapevamo (2010, Aliberti Editore) aveva già parlato di eminenze grigie, di organizzazioni interne al Sid e al Ministero dell’Interno, così come di un possibile collegamento fra alcuni eventi direttamente scatenanti dalla strage di Piazza Fontana (1969) e collegati a stragi e attentati come l’Italicus (1974) e Piazza della Loggia (1974), e l’attentato alla questura del 17 maggio ‘73 all’allora Ministro dell’Interno, Mariano Rumor (per questo specifico attentato Maletti non fa un riferimento diretto ad esso come ulteriore filo della strategia della tensione, ma lo ritiene probabile). L’ex generale fu coinvolto nelle varie fasi del processo e fu poi assolto definitivamente nel 2003; nella strage morirono 4 persone e 45 furono i feriti. Nel libro, inoltre, aveva parlato per la prima volta dell’esplosivo utilizzato per tutti quegli attentati come proveniente dalla Jugoslavia. Ma fu molto tempo fa già che l’ex generale Miceli durante un interrogatorio avvenuto nel marzo del ’75 parlò, ormai sfiancato dalle inchieste che lo coinvolgevano e dalle insistenze dei giudici, di un organismo segretissimo all’interno del Sid, chiedendo però per approfondire il tema di essere sciolto dal segreto militare.

In un articolo de L’Espresso dell’aprile ’75 a firma di Mario Scialoja si ricostruisce quell’interrogatorio e si fa riferimento proprio al colonnello Marzollo, capo di Mori dunque, come tramite fra l’ex generale Amos Spiazzi e Miceli. Nella stessa sezione poi, un altro articolo a questo accostato, a firma di Lino Jannuzzi, oggi estremamente critico sul processo trattativa Stato-Mafia (e nel passato più recente anche strenuo difensore di Andreotti e Dell’Utri per i vari processi che li vedevano coinvolti), il resoconto sull’interrogatorio di Miceli, seppure dal tono beffardo, contiene dettagli che oggi forse getterebbero maggiore luce su questa vicenda.

Come abbiamo scritto, poco prima che Mori fu allontanato dal Sid (nello stesso anno in cui anche Maletti fu allontanato), i magistrati di Padova che indagavano sulla Rosa dei Venti chiesero al servizio una foto segnaletica di Mori. Da questi risultati investigativi compiuti dai magistrati di Palermo è partita anche la rogatoria per poter interrogatore Maletti. Nel 2009 Maletti aveva fatto richiesta di grazia al presidente Giorgio Napolitano che gliela rifiutò.

L’ex generale ha ancora pendente una condanna a quattordici anni per sottrazione di atti inerenti il famoso dossier Mi.Fo.Biali e che probabilmente finirà con prescrizione l’anno prossimo. Il dossier fu rinvenuto nell’ufficio del giornalista Mino Pecorelli dopo il suo omicidio. Sottrazione per la quale si è attribuito la “responsabilità morale” in quanto il dossier era gestito dal suo ufficio. Il rifiuto della richiesta di grazia però non fa il paio con la totale assenza di una richiesta di estradizione che lo Stato italiano potrebbe istruire dopo l’avvenuta convenzione del 2000 tra i due paesi. Fu negata dal Sudafrica una sola volta nel periodo antecedente alla convenzione. L’ex generale in fondo, nel corso degli anni, dopo gli iniziali rifiuti e i non-ricordo ha comunque riferito diversi fatti sia nelle audizioni sia nelle udienze ai vari processi e dopo la morte di Andreotti quelle barriere potrebbero ancora una volta allentarsi.

Tratto da: lettera35.it

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