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Intervista al criminologo forense

La musica è molto più che un’organizzazione temporale di suoni da cui deriva una forma di arte o intrattenimento; è un universo in cui si intersecano cultura, storia, scienza, pensiero, creatività ed altro ancora. Platone la paragonava ad una “filosofia suprema” per la sua capacità di rappresentare anche quello che non si può spiegare verbalmente; Sant’Agostino e Nietzsche le attribuivano un valore simbolico superiore alla parola, con un’accezione quasi divina. In che modo si è potuti arrivare ad utilizzare questa nobile forma d’arte come veicolo di messaggi di natura criminale?
È l’uomo che l’ha strumentalizzata in una forma di devianza attraverso una serie di condotte che pur non integrando necessariamente la commissione di fattispecie di reato infrange regole sociali, morali e di civiltà. Si tratta di un fenomeno non proprio nuovo e multifattoriale, particolarmente complesso e articolato. Una simile condotta trae origine nell’uso della musica come veicolo di messaggi subliminali e di proselitismo criminale che sembra purtroppo funzionare soprattutto tra i nostri ragazzi più fragili e più facilmente corruttibili.

Quando alcuni cantanti, soprattutto di generi musicali che vanno dal neomelodico al rap, al trap, prendono in mano il microfono per intonare versi contro le forze dell’ordine e i collaboratori di giustizia e, allo stesso tempo, esaltano le gesta del delinquente di turno, la gente li acclama e segue a memoria i testi delle loro canzoni a Napoli come a Catania, Palermo, Bari, Reggio Calabria, Roma ed in altre periferie italiane. Cosa pensa di questo fenomeno?
Non penso tanto al fenomeno in se stesso quanto al fallimento del nostro modello educativo che coinvolge, direttamente e/o indirettamente, la famiglia e la scuola. Se migliaia di giovani marginali sono consumatori ideali di un simile mercato sub-culturale, qualcosa nel nostro sistema scolastico e educativo familiare non ha funzionato. Ritengo che vi sia parte di responsabilità anche dello Stato dovuta in buona parte alla mancanza di politiche sociali rivolte soprattutto verso i più giovani. In Italia circa il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. È uno dei dati peggiori in Europa. Questo significa che il sistema scolastico italiano presenta innumerevoli falle causate in gran parte dai mancati investimenti dello Stato in questo settore cardine.

Secondo Lei quali potrebbero essere le analogie tra i canti popolari che raccontavano le storie di briganti e capi-popolo, le sceneggiate nelle quali il criminale delinqueva “a fin di bene” cercando redenzione per gli errori commessi e quella che attualmente può essere definita “neomelodia criminale”, ovvero la sublimazione di concetti delinquenziali attraverso la musica?
Non ritengo ci possano essere particolari analogie o similitudini: sono due mondi completamente diversi. La storia ci insegna che brigante era chi lottava contro i notabili e obbligava i grandi latifondisti a lasciar vivere anche il popolo liberandolo da una vera e propria forma di schiavitù. Erano lotte simili a quelle dei vari Robin Hood che nel caso del brigantaggio portarono poi alla grande riforma agraria dell’Italia post-unitaria. I mafiosi sono tutt’altra cosa e la storia ci ha mostrato cosa sono: criminali senza scrupoli.

Nei primi anni 2000 ci fu un episodio che destò un certo clamore perché dimostrò come si potesse con facilità esportare all’estero non solo il meglio del made in Italy, ma anche massaggi tradizional popolari di infimo livello: la pubblicazione di tre cd musicali all’interno della raccolta “Il canto di malavita – la musica della mafia”. La collana conteneva delle “canzonette” in dialetto calabrese, spesso con un incipit di versi in prosa, dai titoli inequivocabili quali: “Omertà”, “Cu sgarra, paga”, “Appartegnu all’Onorata”, “I cunfirenti”, “Pi fari u giuvanottu i malavita”. L’operazione commerciale consegui un discreto successo non tanto sulle bancarelle calabresi, quanto in Germania. Secondo il suo parere, questo avvenne a causa dei numerosi immigrati italiani presenti in quel Paese o a causa del fascino suscitato anche all’estero da una mafia all’apparenza rude e contadina, pregna di valori quali l’onore, il rispetto e l’omertà?
Penso che molto abbia influenzato il fascino creato attorno alla mitizzazione dei mafiosi. Stiamo assistendo - e non da ora - a un vero e proprio boom di serie televisive e di cantanti neomelodici incentrate sulla esaltazione della criminalità organizzata italiana, di ieri e di oggi, dove spesso si celebra il boss, quasi idolatrato. Questa immagine naturalmente arriva anche all’estero. In Germania poi il fenomeno mafia non è ancora percepito a pieno nella sua forte pericolosità criminale. Tanti ragazzini disagiati entrano nei clan con spirito imitativo, influenzati anche dalle canzoni in onda in televisione e nelle radio che sempre più spesso esaltano la mafia e la vita agiata dei vari boss.

Quali possono essere le analogie tra “musica della mafia, della Camorra, della 'Ndrangheta” ed il fenomeno dei “narcocorridos” in Messico?
Qui vedo maggiori affinità poiché i narcorridos raccontano storie di signori della droga, arresti, sparatorie, operazioni coraggiose e tradimenti, esaltando al massimo quel mondo criminale. La stessa cosa anche se a volte con minore enfasi accade con i cantanti della mafia, della Camorra, della 'Ndrangheta.

Cosa pensa della rappresentazione della criminalità fatta dai media attraverso film, serie tv, musica, videogiochi e social network? L’eccessivo “neorealismo” nella narrazione può essere deleterio soprattutto a chi non ha gli strumenti comunicativi e culturali per capire la peculiarità della forma artistica o il bisogno di raccontare la realtà “nuda e cruda” deve prevalere su tutto?
Credo che si possa e si debba sempre parlare delle mafie, il problema essenziale è sempre lo stesso: come lo si fa? Se guardo “I Cento Passi” di Marco Tullio Giordana mi piace il suo messaggio, mentre quando ho visto “Il Capo dei Capi” o la stessa serie “Gomorra” intravedo mitizzazione mafiosa – forse involontaria – ma il rischio purtroppo c’è, basta guardare alla Napoli attuale dove ogni giorno una nuova camorra di ragazzini sta insanguinando la città e in alcuni casi s’ispira alla miniserie tratta dal libro di Saviano.  La problematica è molto delicata è una questione di pesi e contrappesi, ma la libertà di espressione deve tuttavia prevalere, anche se, dopo i film, sarebbe bello dibattere magari soprattutto in famiglia e nelle scuole, ma comprendo di pretendere troppo. Mi piacerebbe che il pubblico televisivo o cinematografico, incuriosito da un film, non se ne accontenti guardandolo spesso passivamente ma voglia provare a capire di più. Consiglierei al lettore a tal proposito un bellissimo libro di Karl Popper dal titolo “Cattiva maestra televisione”.

Nel primo semestre del 2022 il catanese Niko Pandetta, nipote del boss Salvatore Cappello (capo dell’omonimo clan legato alla Stidda), è arrivato a ridosso della top 50 degli album più venduti con il suo “Bella vita” al cui interno, si leggono titoli quali: “Non fotti con la gang”, “Pistole nella Fendi”, “Scappo vado via (c’è la Polizia)”. Lo stesso personaggio è balzato agli onori della cronaca per aver omaggiato lo zio con il brano “Dedicato a te” che, in un passaggio recita esplicitamente: “Zio Turi io ti ringrazio ancora per tutto quello che fai per me, sei stato tu la scuola di vita che mi ha insegnato a vivere con onore, per colpa di questi pentiti sei chiuso là dentro al 41 bis”. In alcune interviste ha ammesso, a parole, l’errore nell’aver veicolato determinati messaggi, salvo in seguito continuare a proporre testi dello stesso tenore o farsi tatuare sul viso segni quali un kalashnikov, una croce e le scritte “silence” e “revenge”. Secondo il suo parere, al di là di una questione di semplice coerenza tra parole e azioni o di melodie tutto sommato orecchiabili con refrain e top-line semplici da memorizzare, perché il soggetto in questione continua a ricevere centinaia di inviti per concerti o serate da parte dei manager del settore, salvo essere in gran parte annullati dalle autorità preposte?
Mi concentrerei anche in questo caso su un altro aspetto. Il vero problema non è tanto nei giovani che partecipano a simili eventi, ma è molto di più in chi li organizza e li alimenta. Si tratta spesso anche di enti locali. Mi preoccupa tuttavia molto il fatto che tanti ragazzi seguano questo tipo di cantanti che esaltino mafia e boss mafiosi. Questo, ribadisco ancora, significa che il sistema educativo e culturale della nostra gioventù presenta molte falle. Il fenomeno riguarda tutto il Paese. Non credo che siano questi gli esempi da seguire per i nostri figli. Esaltare la mafia non è mai una cosa da apprezzare, anzi è da disprezzare sempre e con gran forza. Agli amministratori pubblici che organizzano simili concerti, mi permetto di suggerire dopo l’esibizione del cantante neomelodico, un bell’incontro sulle mafie e sulle tantissime vittime delle stesse. Sarebbe bello, ma credo utopico, che a questo incontro ci fossero più giovani che all’esibizione di un Niko Pandetta qualunque.

Nel marzo del 2019 è stato celebrato il matrimonio tra il cantante neomelodico Tony (Antonino) Colombo e Tina (Concetta) Rispoli, vedova del boss di camorra Gaetano Marino. L’evento è stato trasmesso in diretta dalle telecamere della trasmissione “Domenica Live” condotta da Barbara D’Urso. Alla cerimonia tenutasi presso il Castello del Maschio Angioino di Napoli la cui disponibilità, per quella data, era stata negata ad alcune associazioni anti-camorra, erano presenti come trombettieri ben cinque Agenti di Polizia Penitenziaria. Possibile che il tornaconto economico e di visibilità mediatica possa prevalere su tutto? Quale messaggio è percepito dai milioni di persone che assistono a un matrimonio faraonico di quel genere dimenticando chi sono i protagonisti della storia?
Dare visibilità mediatica nazionale a simili eventi non ha alcuna giustificazione di nessun tipo. Per alcuni aspetti potrebbero essere configurabili condotte molto vicine all’apologia della mafia che a mio parere dovrebbe essere una condotta penalmente rilevante. Ci sono in corso indagini da parte di varie procure della Repubblica che indagherebbero la gestione dei boss dietro ai concerti di Tony Colombo. Il primo retroscena emerse dall'operazione "Navel" contro il mandamento di Santa Maria di Gesù a Palermo. Il successo dei mafiosi dipende dal loro grado di organizzazione e dalla riuscita dei rapporti con soggetti che condividono o intersecano gli stessi sistemi d’interazione. Uno dei più importanti punti di forza della mafia è la sua capacità di ottenere il consenso di esterni al suo nucleo organizzativo. Questo genere di trasmissioni e l’esaltazione di simili soggetti al loro interno producono certamente effetti negativi nei soggetti più vulnerabili. Come ben disse Umberto Eco, i social media hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar, dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli. Ed io aggiungerei di criminali e di imbecilli che li portano in televisione o nei vari mass media.

Secondo la sua esperienza professionale, i social network, oltre ad essere un canale di comunicazione per messaggi codificati tra i componenti delle organizzazioni criminali, sono effettivamente utilizzati per creare un’aura di consenso attorno alle stesse? Oppure, come sostengono alcuni cantanti dei generi musicali che qui si stanno analizzando: “È solo una questione di marketing”?
Il successo dei social network come Facebook, Instagram e Twitter ha trasformato il rapporto e i contatti sociali tra le persone. Questa tipologia di progresso tecnologico ha certamente facilitato gli incontri tra persone lontane, la comunicazione globale e l’interazione virtuale. Naturalmente i social media sono sfruttati da tutti, quindi, anche dalla criminalità organizzata che li usa per ampliare i loro affari e per mostrare il proprio potere anche nel mondo non reale. Le mafie hanno compreso che i social media possono rappresentare un’ottima vetrina per le loro attività criminali su Internet. C’è una nuova generazione di criminali che li usa anche per sfoggiare potere e ricchezza mostrando armi speciali e auto extralusso. Nell’ultimo decennio anche i narcotrafficanti hanno aumentato l’uso dei social media, sia per reclutare nuovi membri, sia per vendere i loro prodotti di morte. L’attuale iper accessibilità dei social network richiede che la lotta contro la criminalità organizzata si sposti anche nel cyberspazio.

Soprattutto in Campania, il business dei cantanti neomelodici, con tutto il suo corollario di feste private, pubbliche ed eventi vari è per la gran parte gestito da soggetti legati alla camorra che li utilizza come catalizzatori di consenso e come dimostrazione del proprio potere sul territorio. Cosa pensa di quegli artisti che non prendono una posizione netta contro questo fenomeno tagliando i rapporti con personaggi ambigui al costo di veder diminuire il proprio successo di pubblico?
Chi non prende le distanze da chi esalta mafia e mafiosità (a maggior ragione se riveste un ruolo pubblico o ha molti fans), direttamente o indirettamente, è complice e contiguo. Io la penso semplicemente così!

Cosa possiamo fare, quotidianamente e nel concreto, affinché le nuove generazioni siano sottratte al fascino ammaliante ed effimero delle organizzazioni criminali, siano più empatiche verso il prossimo, rifiutando nettamente tutto ciò che rappresenta un modello di sopraffazione mafiosa delle regole civili, crescano come teste pensanti senza il bisogno di dover schiacciare gli altri per emergere sulla scala sociale?
Non sarà solo la magistratura o le forze di polizia a vincere la battaglia contro le nuove mafie, ma saranno i giovani che si impegneranno, finalmente, in prima persona. Sono fortemente convinto dell’inserimento dei giovani nel processo partecipativo, attraverso canali e forme nuove, al fine di aprire a loro i processi decisionali, permettendo di costituirsi come cittadini attivi, consapevoli e impegnati in politica. Frequentando le scuole d’Italia da oltre trent’anni penso che ancor oggi manchi una piena presa di coscienza delle mafie da parte dei più giovani e credo che scarseggi ancora quel concetto elementare di essere cittadini attivi e non sudditi. Ai ragazzi dobbiamo far comprendere quanto sia necessario il loro contributo diretto alle sorti del nostro Paese. La gioventù si deve occupare della lotta alla mafia facendo il proprio dovere, interessandosi della pubblica amministrazione, partecipando alla vita politica del proprio territorio. Occorre dare una nuova opportunità ai giovani e promuovere la loro partecipazione effettiva conoscendo più da vicino il mondo giovanile in continuo movimento, ricco di alternative: conoscerne i valori, le percezioni e le progettualità. I nostri giovani dovranno fare la loro parte potendo contare su una scuola che funzioni, su forze dell’ordine che facciano il proprio lavoro, su giornalisti che descrivano obiettivamente ciò che accade, su magistrati che non si facciano corrompere e che svolgano bene la loro funzione. Soltanto quando tutte queste categorie, e non solo queste, schierate in prima linea nella lotta al crimine organizzato, faranno pienamente il proprio dovere, si potrà pretendere che i cittadini consapevolmente facciano la loro parte. La strada purtroppo è ancora lunga. Molte cose vanno fatte e a vari livelli e forse è eccessivo oggi pretendere comportamenti civici dai più giovani quando i più vecchi danno spesso esempi negativi.

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