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Gentile direttore,

poiché nel suo articolo del 3 maggio 2021, apparso sul sito “Antimafia Duemila” e intitolato “Pasolini Sofri Mieli gli anni di piombo e Dacia Maraini: è tutta una falsa riga”, la collega Simona Zecchi menziona anche lo scrivente, commentandone un pezzo pubblicato dal quotidiano “La Verità” lo scorso 29 aprile, le chiedo di ospitare queste mie righe di integrazione e precisazione.

Se Simona Zecchi ha ragione nel parlare di quattro riaperture delle indagini sull’assassinio di Pasolini (ho trascurato io, sbagliando, quella del 1987 - non del 1985 - ritenendola di fatto una non inchiesta, essendosi risolta in un interrogatorio a Giuseppe Mastini seguito da immediata archiviazione), sbaglia quando afferma che nessuno avesse potuto leggere la missiva di Pasolini a Giovanni Ventura (quella del 24 settembre 1975, da me citata nel mio articolo) prima del 2015, ossia prima che essa apparisse nel suo libro “Pasolini, massacro di un poeta”. La lettera in questione era infatti già stata inserita da Nico Naldini nell’epistolario pasoliniano “Vita attraverso le lettere”, edito da Einaudi nel 1994 (si trova a pagina 314).

Con l’occasione vorrei anche chiedere a Simona di spiegare meglio, se può, la frase seguente: “Il match dei cinque profili altri, individuati sui reperti però, non è stato raggiunto proprio perché alcuni di questi, cruciali, erano stati trovati danneggiati nel database del ministero”. Non mi è chiaro quali DNA siano stati rinvenuti danneggiati nel database del ministero: i cinque profili di ignoti recuperati dai reperti del delitto? Ma se si tratta di questi, presumo fossero in cattive condizioni - per ovvi motivi - sin dal momento della loro estrazione, per cui quando si è proceduto al confronto con i DNA di alcuni dei sospettati si sapeva già benissimo che, appunto, ci si sarebbe dovuti riferire a DNA “imperfetti”. Insomma, non è che siano stati prelevati i DNA dei sospetti e poi, inaspettatamente, ci si è resi conto che andavano confrontati con DNA “trovati danneggiati”. Se quei cinque profili genetici sono danneggiati, lo sono sin dal momento della loro acquisizione, la quale precede l’acquisizione del DNA dei sospettati.

Desidero ancora aggiungere che quella che Pelosi - durante la telefonata al bar di Piazza Esedra ascoltata dal barista Gianfranco Sotgiu pochi giorni prima del delitto - stesse parlando con Franco Borsellino è soltanto un’ipotesi, ancorché non peregrina, poiché non v’è alcuna certezza che il suo interlocutore, da lui appellato - secondo Sotgiu - “Franz” o con simile diminutivo, fosse proprio il minore dei due fratelli di Casal Bruciato.

Circa il presunto furto dell’Appunto 21 di “Petrolio”, sono d’accordo con Simona che il fatto che esso non sia mai avvenuto non esclude di per sé la possibilità che qualcuno abbia voluto tendere un agguato a Pasolini la notte dell’Idroscalo. Io non ho inteso sostenere questo, nel mio articolo, bensì soltanto sottolineare come la custode dei dattiloscritti di Pasolini, che nella casa di Pasolini viveva, ossia Graziella Chiarcossi, abbia smentito qualsiasi sottrazione delle carte del cugino, sia prima sia dopo l’omicidio. Un’informazione che non si può non tenere nel massimo conto.

Termino con un accenno all’Alfa Gt di Pasolini: personalmente non convidido la tesi di Simona secondo cui a sormontare il corpo del poeta siano state più automobili, né ritengo - in questo concordando, credo, con la collega - che la mancata rottamazione del veicolo abbia qualcosa a che fare con la morte di Pasolini. Sono tuttavia d’accordo che il pertinace silenzio di Ninetto Davoli, incaricato nel 1981 dalla Chiarcossi di far rottamare l’Alfa, da lui personalmente portata presso lo sfasciacarrozze Rozzi di via di Centocelle, rappresenti una condotta alquanto discutibile. In questo come pure in altri casi attinenti alla vita di Pasolini e nei quali Davoli è, più o meno direttamente, coinvolto.

La ringrazio e le auguro buon lavoro.

Giuseppe Pollicelli



"Il riferimento alla lettera di Giovanni Ventura da me usato, datata 24 settembre 1975, era ben esplicitato nel mio testo in quanto ho chiaramente scritto "diffusa" non "pubblicata" per la prima volta. È un fatto incontrovertibile che la pubblicazione della lettera da parte di Nico Naldini fatto da me citato in ogni mio lavoro sul tema tra articoli saggi e libri, e da me mai celato, e fatto che mi ha condotto alla scoperta inedita di altre lettere da me pubblicate, non era mai stata né considerata né diffusa vista la rilevanza in sé. Inoltre il documento originale della lettera stessa è questo sí stato da me pubblicato per la prima volta in Pasolini Massacro di un poeta nel 2015, e a me consegnato dalla famiglia del Ventura, è un fatto oltremodo incontrovertibile che nessuno di coloro che ho interpellati per chiederne conto che "hanno vissuto quei tempi" ne conoscessero la esistenza. Lo stesso collega ne ha appreso da me la esistenza leggendo il mio libro. E questo il collega Pollicelli lo sa benissimo. E correggo ancora il collega: la lettera si trova a pagina 315 del testo Einaudi. Per quanto riguarda il resto delle dichiarazioni del collega queste non possono considerarsi passibili di rettifica e di "spiegazione" da parte mia visto che il collega non apporta alcuna fonte che dichiari il contrario da quanto da me scritto, ma anzi mi chiede "spiegazioni": le sue sono opinioni; e anche perché il collega a oggi non ha prodotto alcun lavoro di inchiesta sul tema al quale appellarsi".

Simona Zecchi





5 Maggio 2021

Ognuno evidentemente coltiva le sue pignolerie: Simona coltiva quella relativa ai numeri di pagina (e sbaglia, poiché la missiva di Ventura a Pasolini si trova proprio a pagina 314 - come comprova la foto che allego e che vi invito a pubblicare - e non 315 del libro einaudiano); io coltivo invece quella attinente a un utilizzo dei vocaboli italiani che sia appropriato e semanticamente corretto. Se una persona scrive, come Simona Zecchi ha fatto nel suo articolo, che «nessuno né i protagonisti di allora né quanti ne scrivono oggi avevano mai letto prima del 2015» la lettera di Giovanni Ventura, non si può fare altro che contestare tale affermazione, dato che la suddetta lettera, al pari di tutti i possessori dell’epistolario curato da Nico Naldini, il sottoscritto ebbe la ventura (è il caso di dirlo) di leggerla oltre vent’anni prima che uscisse “Pasolini, massacro di un poeta”. Quanto al resto, prendo atto con dispiacere che Simona non ha inteso dare un riscontro alle mie legittime domande e richieste di chiarimento. Ma questa non è una novità.

Giuseppe Pollicelli



"Confermo a Pollicelli che la pagina è la 314, e che dunque ho erroneamente corretto lì soltanto il collega ma che questo non fa cambiare di una virgola quanto da me nella sostanza tutta già affermato nella mia risposta”

Simona Zecchi

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